E. W. STEVICK E LA GLOTTODIDATTICA UMANISTICA

Gianfranco Porcelli

(Da "L'analisi linguistica e letteraria", a. II (1994) n.1, pp. 103-145)

Il presente studio si propone di esaminare un ampio ventaglio di proposte glottodidattiche recenti accomunate dall'appartenere a un filone a cui è stato dato il nome di "glottodidattica umanistica." Al fine di definire meglio quest'ultimo termine e di inquadrare le indicazioni metodologico-didattiche nell'ambito della loro matrice psicopedagogica, premetteremo un excursus sull'ultimo cinquantennio di didattica delle lingue moderne negli Stati Uniti, filtrato attraverso le opere principali di uno degli esponenti di maggior spicco, E.W. Stevick.

Vi sono tre difficoltà principali che ostacolano la definizione di un percorso storico in glottodidattica:

1) tutti gli studiosi di maggior rilievo sono portatori di una gamma così ricca di interessi e di proposte, spesso con spunti anticipatori di stagioni metodologiche successive, che risulta riduttivo circoscriverli in un preciso ambito, sulla base dell'appartenenza a una scuola di pensiero o a un gruppo di ricerca;

2) si è avuto un rapido susseguirsi, e non di rado un accavallarsi, delle diverse fasi; importanti metodologi, tra cui lo stesso Stevick, hanno rivisto le proprie posizioni iniziali man mano che si registravano significative evoluzioni in psicopedagogia, in linguistica, nelle tecnologie glottodidattiche (dal laboratorio linguistico al videodisco), nonché nell'ambiente culturale e scolastico in cui erano e sono inseriti;

3) lo sviluppo cronologico presenta notevoli difformità tra le diverse aree geografico-culturali; ad esempio, negli anni '60 in Italia quasi tutto l'insegnamento di lingua straniera seguiva ancora il metodo formale 'grammatica-traduzione' mentre negli Stati Uniti, dove il metodo diretto era diffuso ormai da un ventennio, si registravano già le prime proposte di superamento delle tecniche audio-linguali, nella direzione degli approcci affettivi-umanistici.(1)

Le difficoltà sono acuite dal fatto che si tratta di storia contemporanea in senso stretto: molte evoluzioni sono tuttora in corso e tentare di prevederne gli esiti può essere un atto velleitario, soggetto a smentite in tempi brevi. Malgrado ciò, semplificando quindi per fini euristici un intreccio complesso, proponiamo uno schema interpretativo che individua quattro periodi:

a) il periodo della didattica ispirata allo strutturalismo in linguistica e al neobehaviorismo in psicologia: a partire dalla Outline Guide di Bloomfield fino alle opere scientifiche e didattiche del gruppo che si era raccolto all'Università del Michigan attorno a Ch.C. Fries(2) e alle evoluzioni del metodo strutturale, in particolare l'audio-orale e l'audio-linguale;(3) talora ci si riferisce a questa come alla "fase americana" della glottodidattica perché dagli Stati Uniti provenivano le ricerche più valide e le proposte innovative;

b) la fase strutturo-globale audiovisiva (S.G.A.V.) che supera la precedente introducendo procedure di accostamento globale al dialogo iniziale di ciascuna unità didattica, procedure nelle quali l'ascolto del testo registrato è supportato dalla contemporanea proiezione di immagini (diapositive o fotogrammi di filmini fissi); questa metodologia è stata promossa negli anni '60 in particolare da organismi come il B.E.L.C. e il C.R.E.D.I.F., il che ha fatto parlare di "fase francese". Peraltro, il metodo S.G.A.V., detto da alcuni Metodo di St.-Cloud, non è stato adottato solo per la diffusione del francese all'estero ma anche in ambiti ben più vasti;(4)

c) le iniziative del Consiglio d'Europa per i livelli soglia e per un sistema basato su unità capitalizzabili ("credit-unit system") hanno dato ampia risonanza nel nostro continente all'approccio comunicativo alla didattica delle lingue moderne che nel contempo (prima metà degli anni '70) si stava sviluppando; dato il ruolo di J.L.M. Trim e L.G. Alexander nel Progetto Lingue Vive e il rilievo delle opere di altri metodologi del comunicativismo,(5) si è parlato di "fase inglese";

d) la riscoperta dei ruoli dell'affettività, della memoria e del coinvolgimento totale dell'io nell'atto di parola ha portato, negli ultimi decenni, agli approcci umanistici di cui ci occuperemo nella sezione conclusiva; poiché i propugnatori di questi metodi sono soprattutto nordamericani,(6) si può parlare di "seconda fase americana".

Stevick: gli anni '50 e '60

E.W. Stevick è testimone e, per vari aspetti, co-protagonista della transizione dalla prima alla seconda fase americana. Nativo di Sioux City, Iowa, si laurea ad Harvard nel 1948 e prosegue negli studi di Linguistica alla Columbia University e a Cornell, dove consegue il Dottorato (Ph.D.) nel 1954. In anni recenti si compiace della sua anzianità nella professione al punto da includervi gli anni da studente.(7) La sua formazione didattica e le prime esperienze di insegnamento dell'inglese agli stranieri risalgono alla seconda metà degli anni '40;(8) ben presto si è occupato anche di attività di coordinamento e di formazione degli insegnanti di lingue straniere in diversi paesi. Il suo nome resta legato soprattutto alla School of Language Studies del Foreign Service Institute di Washington, D.C., dove ha operato come direttore per circa un quarto di secolo, fino al suo pensionamento nel 1984.

Il suo interesse preminente per l'inglese come seconda lingua, ossia come lingua insegnata in un Paese in cui essa è il normale veicolo della comunicazione quotidiana, e il suo lavoro soprattutto con studenti adulti, da un lato rendono alcune sue indicazioni didattiche meno utili per chi insegna prevalentemente lingua straniera a studenti più giovani: certe tecniche che legano direttamente l'attività scolastica ai contatti extrascolastici (come interviste, indagini "sul campo" e simili) non sono proponibili nel nostro sistema, dove la lingua in apprendimento è presente quasi esclusivamente a scuola, durante le poche ore di lezione che le sono riservate, e dove eventuali attività domestiche sono costituite prevalentemente da esercizi scritti.

Dall'altro lato, lo studente adulto, immerso nella lingua-civiltà di cui si deve impadronire, è un tipo di studente particolarmente impegnativo e ricco di stimoli psicopedagogici per l'insegnante con cui entra in rapporto. I suoi bisogni linguistici sono definibili con chiarezza e precisione: essi si identificano non con una generica competenza comunicativa, ma con la capacità di interagire con soggetti ben individuati (dal datore di lavoro alla cassiera del supermercato), su argomenti e con finalità altrettanto precisi. Ai bisogni linguistico-comunicativi si intrecciano quelli relazionali tipici di chi si deve inserire in una nuova società: in primis, l'accettazione da parte non solo del gruppo-classe ma di tutti coloro con cui entra in rapporto -- sul posto di lavoro, nel luogo di abitazione, durante il tempo libero, ecc.

Questo fa sì che, molto più che in altri contesti scolastici, l'insegnante sia portato a considerare lo studente non tanto e non solo come apprendente ma come persona; a tener conto quindi della dimensione psicoaffettiva e sociale non meno di quella cognitiva; a impegnarsi, in ultima analisi, in un rapporto interpersonale a più livelli, nel quale al rapporto asimmetrico docente-allievo si aggiungono diversi aspetti dell'interazione tra adulti: rapporti di orientamento, di consulenza, di sostegno morale e a volte anche materiale.

Riportando il discorso in ambito strettamente glottodidattico, notiamo come già nel 1955 Stevick prenda le distanze dalle concezioni dominanti. Inizialmente riprende la definizione di apprendimento linguistico data dal Fries:

A person has learned a foreign language when he has ... first, within a limited vocabulary, mastered the sound system (that is, when he can understand the stream of speech and achieve an understandable production of it) and has, second, made the structural devices (that is, the basic arrangements of utterances) matters of automatic habit.(9)

ma subito vi contrappone una definizione ben diversa:

A person has learned a foreign language when he is able to understand and use understandably the expressions he needs in any situation in which he participates. He has partially learned a foreign language when he can use and understand part of the expressions he needs.(10)

In questa definizione sono presenti il concetto di situazione (e, come preciserà poco oltre, poiché "the situations themselves differ from culture to culture"(11) tale concetto richiama quello di cultura-civiltà) e il concetto di bisogno; Stevick si pone quindi in una prospettiva funzionalista che precorre le definizioni di competenza comunicativa.

Il richiamo al background culturale, avvertito come necessità prepotente in una società multietnica come quella statunitense, è un tratto rilevante della glottodidattica strutturalista, anche se non sempre tale aspetto ha ricevuto l'attenzione dovuta da parte dei metodologi sia del tempo che di epoche successive. Eppure non mancano studi di un certo rilievo: tra questi, il testo fondamentale di linguistica contrastiva Linguistics across Cultures di R. Lado; ivi già il titolo attesta l'attenzione alle culture-civiltà e un intero capitolo verte su "How to Compare Two Cultures".(12) In questa attenzione dello Stevick alle situazioni di vita dello studente e a quanto vi è di più radicato nella sua persona, ossia la cultura del paese d'origine, troviamo il nucleo del suo pensiero che lo condurrà più tardi ad occuparsi a fondo degli approcci umanistici.

Non si pensi comunque a Stevick come a un filosofo o a un pedagogista: al contrario, egli ha una formazione linguistica rigorosa e alcune sue opere sono strettamente tecniche, in linea con le posizioni di quella che all'epoca era spesso denominata linguistica applicata.(13) In particolare, in questa direzione, si segnala A Workbook in Language Teaching(14) in cui Stevick prende le mosse da un'analisi dei sistemi fonologico, morfosintattico e lessicale dell'inglese e sulla base di essi propone una serie di esercizi (soprattutto drills, attività addestrative tipiche della didassi dell'epoca ispirata al comportamentismo) intesi a sviluppare e "fissare" le corrispondenti abilità. "When I was being trained ... there was a clear rule: 'accuracy before fluency'."(15)

Nella terza parte del volume HPLE, sulla grammatica, Stevick illustra e chiarisce concetti che la linguistica aveva elaborato di recente e che dovevano entrare a far parte del bagaglio culturale e professionale degli insegnanti di lingue. Dove si parla di connexity, ad esempio, propone e commenta una frase,

The isosceles idea warbled warmly,(16)

analoga alla chomskyana

Colorless green ideas sleep furiously.(17)

Il capitolo si conclude con un breve saggio sull'ambiguità di "ship sinks",(18) con il fine di sensibilizzare gli insegnanti a queste tematiche illustrando i modi in cui la linguistica generativo-trasformazionale cominciava ad affrontarle.

Stevick: gli anni '70 e '80

Come si diceva, negli Stati Uniti la seconda metà degli anni '60 e soprattutto gli anni '70 hanno visto l'entrata in crisi del metodo audio-linguale e l'apparire delle proposte che più tardi sarebbero state indicate collettivamente come metodi umanistici. Stevick cita un seminario svoltosi a Seul nel 1973 durante il quale vi furono dimostrazioni di cinque sistemi molto diversi per insegnare le lingue: Situational Reinforcement (la variante "situazionale" dell'approccio strutturalista); la Silent Way (uno degli approcci umanistici di cui ci occuperemo oltre); un corso audiovisivo derivato dal Metodo di St.-Cloud; un buon esempio di didassi audio-linguale piuttosto diretta che non richiedeva la memorizzazione di un dialogo; e il Community Language Learning (altro approccio umanistico).(19)

Questa testimonianza, a cui fanno riscontro vari altri lavori apparsi sulle riviste professionali dell'epoca, ci illumina sulla situazione della glottodidattica extraeuropea in quel periodo: un confronto tra il "vecchio" (i metodi di impianto strutturalista) e il "nuovo", rappresentato da Silent Way e Community Language Learning. I risultati ottenuti nei diversi approcci impongono la ricerca di spiegazioni più profonde per dar conto del successo e dell'insuccesso dei vari metodi:

In the field of language teaching, Method A is the logical contradiction of Method B: if the assumptions from which A claims to be derived are correct, then B cannot work, and vice versa. Yet one colleague is getting excellent results with A and another is getting comparable results with B. How is this possible?

This riddle has troubled me for 25 years -- ever since I discovered that the first method I learned to use was not the only good way to teach. Sometimes the same riddle -- and I am convinced that it is ultimately the same riddle -- takes a different form:

Why does Method A (or B) sometimes work so beautifully and at other times so poorly?(20)

Stevick ricerca le risposte indagando alcuni aspetti soggiacenti a tutti i metodi, al di là delle differenze estrinseche.

Performance produttiva e riflessa

Parrebbe che qualsiasi performance, in quanto tale, debba essere produttiva. Stevick trova invece necessario distinguere le prestazioni tipiche delle attività di ascolta-e-ripeti da quelle che impegnano lo studente a livelli più profondi in quanto pongono problemi di appropriatezza, di scelta del lessico, e così via; una performance del primo tipo è detta riflessa o ecoica, e una del secondo tipo è detta produttiva in senso stretto. In TLL Stevick sviluppa ulteriormente la dicotomia trattando, a titolo di esempio, di una tecnica adottata da molti insegnanti per correggere gli errori di produzione orale: chiedere all'allievo di ascoltare e ripetere l'enunciato corretto. Stevick sostiene che è il modo più rapido, ma anche il più superficiale, di ottenere la performance desiderata; e cita come emblematica l'osservazione di una studentessa, secondo cui "corrections of this type ... go in your ear and out your mouth without disturbing anything in between."(21) Qualsiasi metodo deve quindi prevedere modalità operative atte a stimolare una performance produttiva (nel senso indicato) e non solo ecoica.

Apprendimento difensivo e ricettivo

Riprendendo sia gli studi di Lambert sulla motivazione nell'apprendimento linguistico sia, e soprattutto, le analisi di Curran, Stevick ribadisce che le motivazioni di tipo estrinseco o strumentale (il dover studiare una lingua solo per rispondere ad esigenze esterne -- siano esse determinate dal curricolo scolastico, o dall'emigrazione, o da qualsiasi altra causa percepita come ostile) conducono lo studente a porsi sulla difensiva, a "scoprirsi" il meno possibile e, in definitiva, a non impadronirsi della lingua stessa in modo duraturo: superato l'esame, o tornato in patria, quel poco che era stato appreso cade rapidamente nell'oblio. I diversi metodi hanno successo se e in quanto riescono ad attivare un apprendimento ricettivo, aperto alla novità e privo di difese, come il suolo fertile che accoglie il seme. La rimozione dei motivi di ansia e di ostilità, anche inconscia, non è quindi un elemento aggiuntivo, desiderabile ma marginale: al contrario, è alla base di ogni possibilità di incidere positivamente sull'apprendimento. E proprio qui Stevick intravvede una possibile soluzione dell'enigma con cui aveva aperto l'articolo su Forum.

Il compito ora è duplice: approfondire gli aspetti psicoaffettivi che hanno rilievo nell'apprendimento delle lingue e proporre soluzioni sul piano metodologico-didattico. Una prima risposta organica Stevick la dà con il volume Memory, Meaning and Method, posteriore di due anni all'articolo e il cui sottotitolo è Some psychological perspectives on language learning. Qui prenderemo in esame i primi due argomenti, la memoria e il significato (dando la precedenza a quest'ultimo), seguendoli anche nei successivi sviluppi della produzione stevickiana. La terza parte di MMM è dedicata all'esame dei due metodi umanistici già citati: il Community Language Learning di Curran (in seguito chiamato Community Counseling) e la Silent Way di Gattegno.

Il significato

La seconda parte di MMM è dedicata al significato ma non si occupa di semantica. Non certo per i motivi per i quali la linguistica americana aveva per molto tempo respinto come ascientifica qualsiasi analisi "basata sul significato":(22) semmai sarebbe vero il contrario perché, come ci ricorda Stevick, verso la metà degli anni '70 "language teachers are in the midst of a strong revival of interest in this kind of 'meaning'."(23) Stevick intende invece esplorare la significatività dell'esperienza di apprendimento per lo studente, ossia

what difference participation in a given activity -- drill, dialog or Spanish Club picnic -- makes to an individual, relative to his or her entire range of drives and needs.(24)

In altre parole ci si domanda se "ha senso" per lo studente affrontare certi testi in lingua straniera o svolgere certe attività didattiche. Che senso ha, ad esempio, insistere perché la pronuncia raggiunga livelli molto elevati di accuratezza, quando non solo agli stranieri ma a buona parte degli stessi parlanti nativi possono bastare livelli meno sofisticati?

La premessa, che gli studi di psicologia ormai fanno ritenere indubitabile, è che se lo studente avverte che qualcosa "non ha senso" non riuscirà ad impararlo stabilmente. Per questo occorre recuperare all'interno del discorso glottodidattico alcuni concetti-chiave come motivazione, autorità e comunità.

Riprendendo la gerarchia delle motivazioni proposta da Maslow, Stevick osserva che

In most of our foreign language classrooms, we can assume that students (and teacher) have found at least tolerable satisfaction for their physical needs, but we cannot in any of our classrooms assume that students (or teacher) are comfortable either at the level of "identity" or at the level of "self-esteem". Yet, with the exception of a growing amount of attention to "integrative" factors, which lie on the "identity" level, virtually all of our discussions of motivation have been concerned with the top two layers: conscious desires for one or another kind of achievement. [...]

Failure to deal successfully with needs for identity and self-esteem results in emotional problems, the side effects of which may be both physical and intellectual.(25)

Si notino gli incisi che riguardano l'insegnante e i suoi bisogni essenziali. Perché si instaurino rapporti interpersonali positivi, capaci a loro volta di dar luogo ad esperienze di apprendimento significative, l'insegnante (non meno dello psicologo o di altri operatori sociali) deve essere nella condizione di accettare se stesso ed esprimersi così com'è, senza infingimenti.(26) Gli studenti possono essere portatori di modelli di personalità e di stati dell'ego(27) problematici, che solo l'Adulto dell'insegnante può reindirizzare opportunamente.

Il secondo concetto psicopedagogico che assume particolare rilievo in questo quadro è quello dell'autorità, un tema, strettamente legato a quello del potere, a cui gli insegnanti sono in genere molto sensibili ma che si presta a numerosi e gravi fraintendimenti. E' chiaro che l'insegnante è la persona che nell'aula ha più potere; per questo le incombono anche le maggiori responsabilità su come esercitarlo. Sono stati individuati quattro modelli prototipici dell'autorità:

- paterno-assertivo: chi è investito di autorità la esercita con un atteggiamento di dominio, senza tenerezze, teso ad ottenere i massimi progressi dai subordinati, i quali possono quindi sviluppare stati ansiosi se dubitano della propria capacità di soddisfare le attese;

- materno-espressivo: il leader evita atteggiamenti aggressivi e mira a creare legami affettivi; esercita il controllo minacciando di sottrarre tale affetto. Se i subordinati si sentono rifiutati, reagiscono con rabbia o depressione;

- fraterno-permissivo: il leader minimizza le differenze di ruolo e pone l'autorità all'esterno del gruppo, negli ideali da perseguire o nei bisogni di apprendimento da soddisfare. L'alto grado di corresponsabilità e l'attenzione alle loro esigenze spinge i subordinati ad un alto livello di impegno, con una migliore produttività; tuttavia se il rilievo dato al gruppo come tale è eccessivo, con lentezze nella realizzazione dei compiti e con un numero esiguo di valutazioni individuali, l'inefficienza del gruppo si traduce in ansia e rifiuto;

- razionale-procedurale; quest'ultimo cerca di evitare gli aspetti negativi dei primi tre minimizzando le emozioni e i rapporti interpersonali; proprio per questo, tuttavia, ha delle controindicazioni nell'apprendimento linguistico nella misura in cui non accetta e non potenzia l'affettività e la creatività dell'individuo.(28)

Il tema dell'autorità si aggancia a quello della fiducia interpersonale, requisito essenziale perché la comunicazione all'interno del gruppo-classe fluisca senza distorsioni e perché si possa tendere a realizzare uno spirito di comunità in cui ognuno, insegnante o studente, può far sentire la propria voce.

La memoria

Chi non riesce ad esprimersi correntemente in lingua straniera spesso si lamenta della propria memoria: "non ricordo i vocaboli" o "ho dimenticato le frasi, eppure ho fatto tutti gli esercizi" sono espressioni che attestano come gli studenti diano rilievo alla memoria e come certe attività esercitative non siano, alla prova dei fatti, utili a "fissare" vocaboli e strutture. Di qui l'esigenza di capire meglio che cosa significhi "fissare nella memoria", attraverso un'analisi della natura della memoria stessa e dei processi mnemonici.

Stevick inizia dagli studi sulle basi fisiologiche della memoria; già i primi esperimenti sugli animali, anche se non sempre trasponibili agli esseri umani, sono serviti a smentire alcuni preconcetti, tra cui i seguenti:

1) si ricorda ciò a cui si fa attenzione -- in altre parole, attenzione e memoria sarebbero tutt'uno;

2) i nuovi ricordi entrano nella mente "come le fragole nel cestino" -- ossia istantaneamente e senza intermediazioni;

3) con il passare del tempo, i ricordi si affievoliscono secondo un ritmo costante -- è sostanzialmente vero, ma l'andamento dell'oblio probabilmente non è così lineare come ci sembra;

4) introdurre un nuovo ricordo e rievocarne uno vecchio sono processi completamente diversi -- si discute sul "completamente", che sembra smentito almeno in alcuni casi;

5) si deve ricordare una data cosa prima di poter recuperare la propria reazione emotiva verso di essa.

Le smentite di questi preconcetti sembrano avere rilevanza anche in rapporto al linguaggio; in ogni caso Stevick intende sottolineare il rilievo dei fenomeni psicologici in glottodidattica, indipendentemente da questa o quella indicazione puntuale. L'insegnante che spiega gli insuccessi di alcuni allievi osservando che "non fanno attenzione" verosimilmente ha una visione troppo limitata del problema.

Gli studi sulla memoria verbale, basati su esperimenti di rievocazione di liste di vocaboli (o, in altri studi, di sillabe senza senso) associati ad altri elementi verbali o nonverbali come immagini o musiche, sono più direttamente connessi ai problemi di apprendimento delle lingue straniere. Qui ci limitiamo a riportare gli aspetti sui quali Stevick sofferma la sua attenzione in MMM e nelle opere successive, in particolare TLL (p. 22 segg.) e Images and Options in the Language Classroom.(29)

Appare anzitutto fondamentale la distinzione tra memoria a breve termine, memoria a lungo termine e memoria permanente -- altri autori parlano di memoria primaria, secondaria e terziaria. La distinzione conduce a sua volta ad indagare sui meccanismi che regolano il passaggio di una dato dalla memoria a breve termine a quella a medio termine -- senza di che, un ricordo si estingue dopo circa venti secondi -- e sui meccanismi, diversi dai precedenti, per cui un dato presente nella memoria a lungo termine va a fissarsi nella memoria permanente di chi apprende.

Quest'ultimo tipo di memoria, nella quale i dati tendono a entrare dopo un certo tempo dalla loro prima assunzione (secondo alcuni autori si tratta di mesi o addirittura anni), si distingue per essere duratura, esente da interferenze, e con tempi di recupero dei dati molto più rapidi che nella memoria secondaria. Da essa attinge chi ha raggiunto un buon livello di fluency in lingua straniera, dato che la scorrevolezza dell'eloquio presuppone un alto grado di prontezza nel recuperare dalla memoria i dati occorrenti (vocaboli, strutture, ecc.).

Tra i concetti che gli studi sulla memoria hanno posto in rilievo c'è quello della salienza:

what is important and emotionally charged tends to be more rapidly embedded than material which is emotionally neutral or uninportant.(30)

I processi di embedding, ossia di accoglimento di nuovi dati nella memoria, possono avere effetti negativi su dati in qualche modo similari già presenti nella memoria a lungo termine ma ancora non ben "fissati." Una possibile controprova dell'effetto della salienza ci viene data da un'osservazione sui rapporti tra memoria e sonno:

Where meaningful stories are recalled... the details essential to the story are remembered as well after waking activity as after sleep; the irrelevant details are recalled better after sleeping than after the same amount of time spent in wakeful activity.(31)

Tutti gli esperimenti indicano che memorizzare frammenti senza senso o liste prive di un ordine logico è molto più complicato e meno producente che memorizzare elenchi o repertori nei quali si colga qualche criterio e qualche aggancio a realtà familiari. Questo dato sarebbe di per sé sufficiente per proscrivere l'apprendimento dei vocaboli della lingua straniera attraverso elenchi alfabetici o liste compilate in base a criteri formali, senza riguardo ai contesti significativi. La ricerca psicolinguistica ha peraltro accertato altri aspetti, che Stevick sintetizza come segue:

a) quelli che noi consideriamo elementi distinti non sono immessi in memoria separatamente. I dati sensoriali che giungono contemporaneamente sono archiviati assieme. La rievocazione di un dato tende a rievocare gli altri che appartengono allo stesso quadro, detto immagine;

b) possiamo rievocare due o più immagini e combinare alcuni elementi di esse formando una nuova immagine composita;

c) ogni immagine comprende elementi auditivi, visivi, emotivi, tattili, olfattivi, ed elementi che rappresentano lo stato del corpo nel momento in cui si è formata l'immagine.(32)

Le implicazioni che ne conseguono saranno oggetto della sezione successiva, prima di procedere alla quale occorrono due puntualizzazioni. La prima riguarda il richiamo costante all'inscindibile unità psicofisica dell'uomo, con il conseguente rifiuto di modelli che siano esclusivamente mentali/cognitivi; ad esempio Stevick in MMM sin dalla prefazione ricorda che "language study is a 'total human experience'";(33) ribadisce subito dopo il concetto affermando che

Because language is ours alone, and language learning is a doubly unique experience, we often talk about it as though it were carried out by minds without bodies(34)

per poi dedicare il cap. III a Memory and the Whole Person. Non viene citato il modello glottodinamico di Titone(35) ma certamente la prospettiva personologica è comune ai due studiosi, entrambi attivi a Washington negli stessi anni.

La seconda puntualizzazione riguarda un altro autore ai cui modelli psicolinguistici Stevick si richiama ripetutamente nelle sue opere: S. Krashen. Per comodità del lettore riassumiamo i cinque punti fondamentali delle sue teorie o ipotesi, che sono state al centro dell'attenzione e del dibattito psicolinguistico dalla metà degli anni '70 ad oggi:

I) La distinzione tra acquisizione e apprendimento

Secondo Krashen si tratta di due processi nettamente distinti e indipendenti. L'acquisizione di una (seconda) lingua è un processo subconscio, del quale perciò i soggetti non sono consapevoli, il cui esito, la competenza acquisita, è altrettanto subconscio. La capacità di acquisire una lingua non cessa al momento della pubertà ma rimane un processo molto potente anche nell'adulto. Per apprendimento linguistico si intende invece lo sviluppo della competenza in una seconda lingua attraverso la conoscenza esplicita di regole di grammatica e liste di vocaboli. Krashen sottolinea che i due processi sono indipendenti e che quindi l'apprendimento formale di una lingua non è di per sé un fattore di acquisizione stabile e di padronanza della lingua stessa.

II) L'ipotesi dell'ordine naturale

Le ricerche sull'acquisizione della lingua inglese rivelano un ordine costante in cui vengono acquisite le strutture grammaticali fondamentali. Vi sono quattro fasi la cui sequenza è mediamente rispettata, mentre all'interno di ognuna vi sono variazioni sulla comparsa dei singoli elementi. Lo stesso ordine riscontrato nello sviluppo del linguaggio nel bambino caratterizza l'acquisizione dell'inglese come seconda lingua. Ricerche condotte sul russo e sullo spagnolo come lingue straniere sembrano confermare l'ipotesi di un ordine naturale anche nelle altre lingue.

III) L'ipotesi del Monitor

Affermata la compresenza di processi distinti di acquisizione e di apprendimento, occorre determinare il rispettivo ruolo nella performance nella seconda lingua. L'esecuzione linguistica e la fluency sono governate dall'acquisizione, mentre la sola funzione dell'apprendimento è quella di fornire il Monitor, un meccanismo di controllo e di autocorrezione dell'output.

Secondo questa ipotesi le regole formali, ossia l'apprendimento consapevole, hanno un ruolo limitato. Soprattutto nella produzione orale manca il tempo di vagliare ogni enunciato in base alla competenza appresa: nella conversazione è indispensabile far ricorso alla competenza interiorizzata, ossia acquisita. In caso contrario la produzione è lenta e intermittente, attenta alla forma più che al contenuto, e presuppone una conoscenza esaustiva delle regole della lingua straniera. D'altra parte, il ricorso alla competenza appresa e non ancora acquisita è utile quando c'è la possibilità di preparare un discorso o un testo scritto. In questo modo può essere utilizzato anche ciò che non è stato interiorizzato e portato al livello della produzione spontanea ma è noto sotto forma di regole o paradigmi.

IV) L'ipotesi dell'input

Sotto il profilo glottodidattico è l'ipotesi centrale della teoria di Krashen, perché si occupa di chiarire come si instaura l'acquisizione di una lingua. Secondo questa ipotesi, la condizione necessaria (anche se non sufficiente) perché si proceda dallo stadio i allo stadio i+1 (leggi: "i più uno") è che venga compreso l'input che contiene i+1. La comprensione è riferita al significato del messaggio, non alla sua forma. Tale comprensione di elementi nuovi è possibile in base al contesto situazionale, alla nostra conoscenza del mondo ('enciclopedia') e alle informazioni nonverbali/extra-linguistiche che accompagnano il messaggio verbale.

La input hypothesis si muove nella direzione contraria a quella dell'apprendimento tradizionale, che presume che prima si imparino le strutture e poi le si esercitino fino a conseguire una comunicazione fluente. Il presupposto dell'ipotesi è che ci si impegni a comprendere il significato (anche in senso pragmatico) dei messaggi: l'acquisizione delle strutture si instaurerà come esito di questo processo.

Ancora a differenza della prassi consolidata, che prevede l'individuazione della struttura nuova da insegnare come argomento del giorno (ossia l'isolamento di un i+1 [leggi: "i più uno"] da proporre alla classe), l'ipotesi afferma che purché l'input sia comprensibile (e, di fatto, compreso) non è né necessario né desiderabile che l'input sia limitato a i+1. Se la comunicazione 'passa', si ha automaticamente l'immissione di i+1. Le abilità produttive, e in particolare il parlare alla normale velocità di conversazione, emergono nel soggetto come esito del processo e non possono essere insegnate direttamente. Si prevede quindi un periodo silenzioso, anche protratto a lungo, prima che il soggetto sia pronto sul piano cognitivo ed affettivo ad affrontare le attività linguistiche del versante produttivo.

V) L'ipotesi del filtro affettivo

Poiché tra i fattori che incidono positivamente sulla acquisizione di una seconda lingua sono stati individuati la motivazione, la fiducia in se stessi, l'autostima e un basso livello di ansia, si può desumere che tra l'input e il meccanismo di acquisizione del linguaggio si interpone un filtro affettivo che impedisce l'interiorizzazione di nuovi input, pur perfettamente comprensibili; in qualche caso si ha la fossilizzazione di una competenza inferiore a quella che le attitudini e le capacità cognitive degli studenti consentirebbero di raggiungere. Tra gli obiettivi didattici bisogna quindi includere la creazione di un clima che favorisca l'abbassamento del filtro.

Stevick si richiama ripetutamente soprattutto alla dicotomia acquisizione/apprendimento, ponendosi alla ricerca costante di tutto ciò che consente di superare il mero apprendimento (nel senso dato da Krashen a questo termine) per realizzare processi di acquisizione stabile e duratura, capace di consentire al soggetto di esprimersi funzionalmente in lingua straniera. Dice, ad esempio:

In acquisition the image from which we reconstruct what we are after is rich and well integrated, while in learning it is impoverished and unintegrated.(36)

Questo ci riconduce al tema delle immagini, altro argomento centrale delle analisi di Stevick.

Le immagini

Riportiamo anzitutto la definizione di image formulata da Stevick nel Glossario di IOLC:

This concept [...] has been the subject of many and conflicting definitions in the literature. As used here, the term refers to the totality of reactions that one has to a given word or experience. These reactions are present im many dimensions, only one of which is the visual. An image in this sense may or may not include quasi-sensory perceptions of a visual or other nature. An image can influence behavior even when it is more or less incomplete. We have images of the spoken or written forms of words, as well as of physical objects and experiences.(37)

Notiamo quindi, per inciso, che qui si parla sempre di immagini mentali; il termine non è mai usato da Stevick per indicare figure, disegni e simili, così come invece noi l'abbiamo usato parlando dei metodi audiovisivi.(38)

La nostra mente, quindi, opera sulla base di immagini mentali più o meno ricche e più o meno integrate; nell'apprendimento linguistico, alcune di queste immagini possono includere elementi strutturali come wait -- waited.(39) Definita la regola come enunciazione esplicita di un modello strutturale (pattern), abbiamo il sostegno reciproco, nella mente dell'individuo, tra regole, strutture e immagini, secondo lo schema seguente:(40)

 

3
<------

 

1
<------

 

Regola

 

Struttura

 

Frammento di immagine linguistica

 

------>
4

 

------>
2

 

\_________________________________/

(Auditivo, visivo e/o cinesico)

 

Le quattro frecce numerate indicano i quattro processi:

1. Gli elementi che costituiscono le immagini mentali sono echi (auditivi, visivi o cinesici) di parole, sintagmi o frasi. Se uso una struttura nuova che sto cercando di imparare e produco qualcosa che concorda con uno di questi echi, ne traggo una conferma.

2. In senso contrario, se ripeto una parola, copio una frase o metto sul 'tavolo da lavoro'(41) un frammento di immagine avrò dei rinforzi in senso skinneriano se il dato concorda con un modello strutturale noto e nella cui validità ho fiducia; in caso contrario, il dato ne uscirà affievolito.

3. Se imparo una regola su come opera una struttura, ne sarà rafforzata la mia capacità di rievocarla quando la uso per produrre o comprendere esempi della struttura.

4. Se da qualche tempo uso una struttura, magari con qualche successo, una regola esplicita mi può essere di chiarimento e può aiutarmi a cogliere i nessi con altre strutture; una regola può anche avere un effetto rassicurante per quel tanto di autorevolezza scientifica che porta con sé. In ogni caso, una regola può rinforzare una struttura.(42)

Stevick esprime il convincimento che lo schema sia valido, in un modo o nell'altro, per tutti coloro che imparano una lingua straniera; ci sono però differenze notevolissime nei punti forti e nei punti deboli di ciascuno, così come nella qualità delle immagini mentali e dei tipi di frammenti di cui ognuno si serve. Il discorso si sposta perciò sugli stili di apprendimento e sulla necessità di sviluppare metodi tali da consentire ad ognuno di mettere a frutto i propri punti forti, che possono essere diversi da quelli degli altri. Gli studi neurolinguistici sulla lateralizzazione cerebrale rivelano poi che i metodi glottodidattici tradizionali hanno fatto riferimento quasi esclusivamente alla modalità sinistra,(43) che governa il livello fonologico, quello morfosintattico e le denotazioni, mentre troppo poca attenzione è stata dedicata alla modalità destra che presiede alla comprensione del contesto, del genere testuale, delle metafore e delle immagini, di ogni tipo, colte nella loro globalità.

Le opzioni

Un dato costante dei lavori di Stevick è lo sforzo di tradurre gli esiti delle analisi psicolinguistiche in indicazioni didattiche, non tanto nel senso di proporre un proprio metodo o di raccomandare l'uso di alcune tecniche a preferenza di altre, ma conducendo l'insegnante a interrogarsi, di volta in volta, su quali meccanismi attenzionali, emotivi, di memorizzazione, e così via, vengano messi in gioco dalle attività svolte dagli studenti. La seconda parte di TLL è intitolata Some techniques and what's behind them; in essa l'autore si occupa delle diverse abilità e dei drills che possono svilupparle: dalla costruzione di immagini uditive (la didassi della pronuncia) fino alle attività sulla grammatica e sulla scrittura.

Si notano due elementi ricorrenti: l'attenzione costante ai fattori emotivi, in coerenza con quanto aveva scritto nella parte introduttiva:

fluency depends at least as much on emotional factors as on amount of practice, and too much insistence on accuracy can erode the essential foundations of fluency.(44)

Uno dei bisogni emotivi ai quali Stevick dedica molta attenzione è quello che gli studenti hanno di security, ossia di 'sentirsi sicuri', non aggrediti dalle difficoltà o dalle incertezze; e tuttavia:

Students don't always need maximum security. After you've gotten into a drill and they see what it's about, most classes will be ready for the more challenging alternative.(45)

L'altra raccomandazione ripetuta ed insistita è rivolta agli insegnanti perché facciano un uso corretto e prudente delle indicazioni del metodologo:

don't go by what I say here. Go by what you are hearing from your own class at the moment, and by the looks that you see on your students' faces.(46)

Nella seconda parte di IOLC Stevick riprende sistematicamente questi punti formulando 33 opzioni. Di ciascuna pone in rilievo vantaggi e svantaggi e ne considera le implicazioni in termini di immagini mentali. Riportiamo qui (riassumendola in italiano) la prima opzione:

1. Gli studenti devono/non devono scrivere sull'eserciziario

a. Si può decidere di far scrivere gli studenti sugli eserciziari mentre si procede in un'attività. Ci sono due vantaggi: 1) Molti studenti sono abituati a lavorare così. 2) Porteranno a casa un documento permanente di ciò che hanno fatto. Quando scrivono, gli studenti devono ripetere tra sé, anche se in silenzio, le corrispondenti parole parlate, produrre con la mano e la matita gli atti fisici corrispondenti, e vedere i risultati di ciò che la mano e la matita hanno fatto. Tutte e tre queste serie di dati sono disponibili per essere archiviate in memoria assieme. Se possiamo prestar fede a quanto gli studenti dicono di se stessi, ci sono nette differenze nella loro abilità di trarre vantaggio sia dall'atto fisico dello scrivere sia dalla possibilità di tornare su ciò che hanno scritto. Alcuni affermano che per loro scrivere è una necessità quasi assoluta, per altri è indifferente, e per alcuni è soltanto una seccatura.

b. In alternativa, si può far sì che gli studenti si astengano dallo scrivere sugli eserciziari. Vantaggi: 1) I libri si possono riusare con altre classi, con notevole risparmio di denaro. 2) Anche all'interno di una stessa classe e lezione, si ha una maggiore flessibilità nell'usare e riusare i materiali, e questo consente di svolgere più lavoro su ciascuna pagina. 3) si evita la seccatura di dover controllare attività scritte in un momento in cui la meta principale è lo sviluppo della comprensione.(47)

In questa analisi possiamo notare:

- la varietà di motivazioni addotte pro e contro ciascuna opzione; alcune sono di carattere estremamente pratico (come il costo dei materiali didattici), altre fanno riferimento alla natura (psico)linguistica e glottodidattica del compito, e altre ancora alle reazioni cognitive e psicoaffettive degli studenti;

- l'assenza di indicazioni esplicite che consiglino o sconsiglino la scelta preferenziale di un'alternativa rispetto all'altra. Lo scopo è di far riflettere l'insegnante su ciò che fa e abituarlo alle scelte opportune caso per caso.

Analogo è il trattamento delle altre 32 opzioni, di cui qui riportiamo la sola enunciazione:

2. Gli studenti devono rispondere a uno stimolo dell'insegnante: immediatamente / dopo una breve pausa.

3. Gli studenti devono rispondere: coralmente / individualmente.

4. Gli studenti devono intervenire in un ordine: prestabilito / imprevedibile.

5. L'insegnante deve indicare lo studente chiamato a rispondere: per nome / con un gesto // designandolo prima di formulare la domanda / designandolo dopo aver formulato la domanda.(48)

6. L'insegnante deve utilizzare i materiali didattici: in modo prevedibile, secondo la sequenza prestabilita / con un ordine prevedibile, ma non usando sempre tutto ciò che i materiali offrono / in ordine casuale.

7. L'insegnante deve usare un registro linguistico: estremamente chiaro / naturale ma accurato / naturale e rilassato.

8. L'iniziativa deve essere presa: dall'insegnante / dagli studenti.

9. L'insegnante deve 'nascondere' le parole su cui verte l'attività: inserendole in brevi espressioni / inserendole in espressioni più lunghe / non deve 'nasconderle'.

10. L'insegnante deve presentare le combinazioni di alternative procedendo: dalle più facili alle più difficili / dalle più difficili alle più facili.

11. L'insegnante deve / non deve personalizzare le parole o le frasi che vengono apprese: usando i materiali senza collegarli ai singoli studenti / collegando le varie parti dei materiali ai diversi studenti.(49)

12. L'insegnante deve drammatizzare l'attività: con una semplice recitazione / inserendo il materiale in un breve roleplay.

13. L'insegnante deve: evitare di commettere errori di fatto / commettere occasionali errori di fatto.(50)

14. L'insegnante deve parlare: lentamente e distintamente / normalmente / rapidamente e indistintamente.

15. L'insegnante deve presumere che gli studenti principianti possiedano: nessuna capacità né di produrre né di comprendere / una certa capacità di comprendere / la capacità di comprendere e un po' anche di produrre.

16. L'insegnante deve / non deve preinsegnare certe parole ed espressioni (ossia spiegarle isolatamente prima dell'accostamento globale al testo che le contiene).

17. Gli studenti devono / non devono ascoltare il materiale prima di vederlo in forma scritta.

18. L'insegnante reagisce alla correttezza o scorrettezza della produzione linguistica degli studenti: ignorando gli errori / correggendo direttamente gli errori / fingendo di non capire un'espressione scorretta / inserendo la forma corretta in ciò che dice immediatamente dopo / lodando le risposte esatte / intervenendo solo quando lo studente sbaglia.

19. Gli studenti devono parlare: tra loro / con l'insegnante.

20. Una data parte dei materiali didattici deve essere usata: soltanto in un modo / in molteplici modi.

21. I materiali a stampa devono / non devono essere integrati con altri.

22. Si deve / non si deve pretendere che gli studenti riproducano esattamente un elenco o un campione di lingua.

23. Le domande devono richiedere risposte che: si trovano nel testo a cui si riferiscono / esigono inferenze e interpretazioni da parte degli studenti.

24. Le risposte devono consistere di: frasi complete / frammenti di frase.(51)

25. Si deve / non si deve chiedere agli studenti una riesposizione libera (con parole proprie) di un testo.

26. Gli studenti devono / non devono correggersi e migliorarsi a vicenda.

27. Le drammatizzazioni, da parte di una coppia o di un gruppo di studenti, devono essere effettuate: davanti all'intera classe / rivolgendosi a un altro gruppo.

28. Gli studenti devono / non devono memorizzare dialoghi o altro materiale.

29. L'insegnante e gli studenti devono / non devono usare la traduzione come mezzo per garantire la comprensione.

30. Le funzioni comunicative devono essere espresse: verbalmente / solo mediante azioni.

31. Il flusso di un'attività deve essere: rilassato e costante / intenso, rapido e ritmato.

32. La lezione deve / non deve tendere ad avere effetti somatici (cioè ad incidere, attraverso illustrazioni o messaggi 'forti', sulle modalità espressive degli studenti).

33. Le attività che richiedono una produzione orale spontanea devono / non devono essere registrate.

Ognuna di queste opzioni è introdotta in IOLC con riferimento a materiali-campione e a tecniche specifiche di presentazione ed esercitazione. E' tuttavia da notare come ognuna di esse isoli un problema didattico la cui portata va al di là delle singole attività, investendo problemi come il tono e il registro di lingua da usare, la gestione della classe (attività individuali, di gruppo e corali) o la gestione degli errori. Questo modo di procedere costituisce un ottimo esempio di quello che più tardi sarebbe stato chiamato l'approccio 'riflessivo' alla formazione degli insegnanti.(52)

La sintesi fin qui proposta non pretende di esaurire la tematica affrontata da Stevick, né rende giustizia della ricchezza di riflessioni e di dati contenuti nelle opere a cui si è fatto riferimento. L'obiettivo, come si ricorderà, era infatti diverso, e precisamente quello di cogliere alcuni degli snodi essenziali nella transizione dagli approcci di matrice strutturalista a quelli umanistici che costituiscono un settore significativo della glottodidattica odierna.

La glottodidattica negli anni '90

L'approccio comunicativo nelle sue diverse forme si presenta nei primi anni '90 come l'asse portante della didattica delle lingue moderne, soprattutto in Europa. In questo quadro, gli approcci affettivi o umanistici si configurano, a nostro avviso, come proposte parzialmente integrative, più che alternative rispetto all'approccio comunicativo. L'interesse che in Italia si sta sviluppando nei loro confronti trae origine dalla ricerca di un superamento non del comunicativismo ma di alcune difficoltà di apprendimento riscontrate nella glottodidassi. Si avverte il bisogno di minimizzare le resistenze di carattere psicoaffettivo che i discenti oppongono in modo palese o occulto. Tra i fattori che incidono negativamente ricordiamo:

1) la percezione negativa di sé in rapporto alle attitudini: "non ho 'orecchio' per le lingue"; "non mi entrano in testa i vocaboli"...;

2) un rapporto competitivo (invece di un rapporto solidale e amicale) con il gruppo-classe e il timore, particolarmente vivo negli adolescenti e negli adulti, di 'perdere la faccia' commettendo errori;

3) problemi nei rapporti con il docente: l'insegnante antipatico, temuto e/o non stimato (sul piano professionale ma anche a livello personale) è il peggiore diaframma tra l'allievo e l'acquisizione di una lingua; gli atteggiamenti di eccessiva severità conducono spesso a successi solo apparenti e non duraturi.

La glottodidattica umanistica

I metodi di cui ci occuperemo sono la Total Physical Response di Asher, il Community Language Learning di Curran (in seguito chiamato Community Counseling), la Silent Way di Gattegno, il Natural Approach di Terrell, la Suggestopedia di Lozanov e la Strategic Interaction di Di Pietro. Concluderemo con qualche cenno alle proposte di Danesi.

a) Total Physical Response (TPR)

Il metodo della 'reazione fisica totale' prende nome dal coinvolgimento totale, psichico e fisico, del discente nell'atto apprenditivo. Esso nasce verso la metà degli anni '60 come sforzo di ovviare agli insuccessi dell'insegnamento allora impartito. J.J. Asher così si esprime:

Americans seem to be underachievers in foreign language learning. After studying a foreign language in school for two years, the average American not only has almost zero fluency, but negative learning may have resulted if the individual now has a fearful attitude towards second language learning. In a doctoral dissertation published in 1958, Miele reported that of all our official American representatives abroad, only one in thirty could speak the language of the host country.(53)

Asher non ritiene realistico mirare alla fluency nelle quattro abilità quando per la lingua straniera si dispone di un'ora al giorno per due anni scolastici, e perciò occorre concentrarsi su una sola abilità, quella che ha il massimo transfer positivo sulle altre tre: il saper ascoltare; la TPR nasce quindi come strategia per conseguire la listening fluency.

La didassi è caratterizzata da una sequenza di ordini che comportano l'esecuzione di gesti, movimenti, spostamenti e azioni di vario tipo. Si inizia con enunciati brevi, di una parola ("alzatevi, sedetevi, saltate" ecc.), ma nel giro di trenta minuti la complessità morfosintattica dei comandi raggiunge il livello esemplificato da "Alzati e cancella il tuo nome dalla lavagna", "Prendi la matita e scrivi il suo nome su questo foglio" o "Prendi quel fiore dalla cattedra e dallo a lei."(54) Le sperimentazioni condotte da Asher con lingue molto diverse tra loro (russo, giapponese, spagnolo e inglese come seconda lingua) hanno dimostrato che la comprensione risulta accelerata in misura altamente significativa (p < 0,005).

Asher non approfondisce il discorso sulle basi teoriche del suo metodo, che appaiono radicate nella linguistica strutturale e sul modello stimolo (verbale)--risposta della psicologia dell'apprendimento di matrice neobehaviorista. L'inserimento del metodo TPR tra gli approcci umanistico-affettivi si giustifica per altro sulle seguenti basi:

- il ruolo centrale dei contesti significativi. Ad esempio, la parola finestra viene appresa all'interno di una sequenza come: "alzatevi... venite alla finestra... apritela... tornate al posto" rivolta ad un piccolo gruppo di allievi per volta. L'input è perciò situazionato, costituito da un'integrazione di comportamenti verbali e non-verbali.

- il riconoscimento del corpo, della fisicità della persona umana, come elemento indispensabile per condurre esperienze psicofisiche totali;

- lo sviluppo di procedure non generatrici di ansia, in quanto il punto focale dell'apprendimento è inglobato in un contesto più ampio.

In quanto all'output dello studente, si ritiene che vi debba essere un periodo abbastanza lungo dedicato alle sole abilità ricettive prima che l'allievo si senta pronto a svolgere attività produttive. Durante questo periodo non gli si deve imporre di parlare e/o scrivere, ma bisogna attendere che desideri farlo spontaneamente. Anche questo è un tratto comune agli approcci umanistici e a tutti i metodi attenti all'igiene mentale degli studenti; quando fu proposto da Asher, nel 1965, apparve rivoluzionario in un'epoca in cui predominava il metodo audio-orale basato sulle tecniche di 'ascolta e ripeti' e sugli esercizi strutturali che hanno nell'immediatezza della risposta uno dei loro cardini.

Il TPR è un metodo che l'autore propone come praticabile in una normale aula di lingue, anche se possono esservi difficoltà nell'organizzazione del lavoro a gruppi in classi numerose. In questo si distingue dalla maggior parte degli altri metodi umanistici che ispirandosi alle pratiche della psicologia clinica si rivolgono soprattutto a studenti singoli o piccoli gruppi, a volte in ambienti appositamente predisposti e attrezzati, non riproducibili nelle normali aule.

b) Community Counseling

Il gesuita americano C.A. Curran, psicologo e psicanalista, ha ritenuto che il rapporto ottimale tra insegnante e allievo sia analogo a quello che si instaura tra counselor e client. La consulenza dell'insegnante prende di volta in volta la forma di consigli forniti al piccolo gruppo di studenti, di suggerimenti (in senso proprio, ossia bisbigliati all'orecchio) a chi vuole comunicare qualcosa in LS a un compagno, di spiegazioni date solo su richiesta, di incoraggiamento all'interazione in lingua straniera, un'interazione sempre più frequente e autonoma quanto più si progredisce. Il ruolo è quello di referente esterno al gruppo; la responsabilità della conduzione dell'apprendimento viene infatti lasciata agli studenti stessi, piccola comunità di persone motivate dagli stessi obiettivi.

E' stato osservato(55) che in superficie il Community Counseling (CC) appare antitetico alla TPR: questa ha un programma scritto che prescrive la graduazione e il ritmo di presentazione delle strutture e del lessico, mentre il CC procede senza un curricolo prestabilito ma solo in base a ciò che gli studenti desiderano apprendere, ossia ai bisogni comunicativi che emergono di volta in volta. Nella TPR gli studenti, percepiti essenzialmente come singoli individui, non hanno un posto fisso nell'aula ma si muovono più volte durante la lezione, per partecipare ad essa con quella risposta di tutto il corpo che dà il nome al metodo; nel CC gli studenti restano al loro posto e percepiscono se stessi, assieme all'insegnante, non come singoli ma come comunità -- e, di nuovo, questo è un tratto così caratterizzante da essere stato assunto da Curran nella denominazione del suo metodo. Come la TPR pone l'accento sulla ricezione orale attraverso procedure relativamente meccanicistiche, così il CC si focalizza sulla produzione orale in un clima totalmente esplorativo e innovativo.

Di conseguenza, è molto diverso il ruolo dell'insegnante: da un lato l'esercitatore, il direttore e colui che fornisce le motivazioni; dall'altro il consulente e il sostegno psicologico. Curran preferisce il termine knower ("colui che sa") a teacher e giunge a considerare non solo possibile ma anche importante che vi sia un'inversione dei ruoli tra counselor e client, nel senso che ciascuno studente si troverà prima o poi nella condizione di dare alla comunità il proprio contributo di esperienze personali e di conoscenze: in questi momenti l'insegnante-knower diventa egli stesso client. Questo aspetto è centrale nell'opera di Curran e spiega l'attenzione che non tanto il CC in sé ma i principi a cui si ispira hanno suscitato nei metodologi contemporanei. Peraltro è stato spesso trascurato da parte di coloro che si sono soffermati sugli aspetti procedurali del metodo oppure che sono stati colpiti dall'uso che Curran fa di termini come incarnazione e redenzione, ponendoli in relazione con il loro uso nel linguaggio religioso e non con il valore che questo autore attribuisce ad essi nelle sue opere.

Per Curran, incarnation è sostanzialmente l'armonia psicofisica della persona umana nella sua totalità, anima e corpo, pensiero e azione, superego ed ego (che Curran chiama I e myself superando le posizioni freudiane); è

[the] accepting of self and others as unified persons functioning through all aspects of their emotional, instinctive and somatic selves as well as their more immediately conscious intellectual awareness.(56)

E', in altre parole, la realizzazione della fully functioning person della psicologia umanistica.(57) Ed è attraverso la "incarnazione", la composizione del disordine psicofisico e il superamento delle tensioni interne, che si giunge alla "redenzione", alla percezione di sé e degli altri come valore.(58)

Si tratta di un processo fondamentale nella crescita evolutiva di ciascuno, nella Bildung, nel "divenire persona", per usare l'espressione di Rogers: un processo certamente non limitato all'ambito educativo, e ancor meno a quello strettamente scolastico. Ciò rende ancor più significativo il ruolo che Curran ha attribuito all'educazione linguistica e, all'interno di essa, all'apprendimento di una seconda lingua. Da un lato, la carica ansiogena che molte forme di apprendimento linguistico provocano, soprattutto nell'adulto, crea stati emotivi più o meno disturbati che suscitano l'attenzione professionale dello psicoterapeuta; ma dall'altro, e soprattutto, l'esperienza di apertura agli altri, a persone appartenenti a lingue-civiltà diverse dalla propria, concorre a far acquisire una percezione migliore di se stessi in rapporto al mondo fisico, con la sua pluralità dei popoli, e al mondo delle idee, mediate attraverso le lingue in cui sono espresse.

Tornando al raffronto tra TPR e CC, assume un assoluto rilievo metodologico-didattico l'individuazione dei tratti soggiacenti comuni, al di là delle dissimmetrie di superficie. Richards e Rodgers(59) enucleano i seguenti:

- entrambi considerano lo stress, la difensività e l'imbarazzo come gravi impedimenti all'apprendimento linguistico;

- per entrambi, l'impegno, l'attenzione e l'attività di gruppo hanno un ruolo centrale perché gli studenti superino tali barriere;

- entrambi interpretano le fasi dell'apprendimento linguistico negli adulti come ricapitolazione delle fasi dell'apprendimento infantile, con la conseguente centralità dei processi di mediazione, di memorizzazione e di rievocazione degli elementi linguistici;

- per entrambi l'apprendimento è "plurimodale" ossia non può limitarsi all'ascoltare seduti ma ha bisogno di altre forme di coinvolgimento;

- nessuno dei due prevede l'adozione di materiali specifici, ma entrambi prevedono di far ricorso alle risorse disponibili in loco.

Sono le analisi di questo tipo a consentirci una valutazione comparativa tra i vari metodi, non limitata al livello delle tecniche e delle procedure. Riprenderemo perciò in esame questi punti dopo la descrizione degli altri approcci umanistici.

c) The Natural Approach

La denominazione di questo approccio non è esente da critiche, perché l'aggettivo "naturale" si presta ad essere usato in modo ambiguo; la questione non è meramente nominalistica ma sostanziale e quindi la affronteremo preliminarmente all'analisi di questa proposta metodologica. Per chiarire la portata dell'ambiguità sarà utile un rapido richiamo agli approcci metodologici prevalenti nel periodo precedente a quello di cui ci occupiamo qui; inizieremo dal metodo formale grammatica-traduzione, a volte indicato come metodo tradizionale per antonomasia anche se non è il più antico nella storia dei metodi,(60) e ora considerato uno dei meno rispettosi dei processi di acquisizione del linguaggio. Registriamo per prima cosa la presenza di questo metodo tra quelli indicati come attuali da vari studiosi: malgrado sia unanime l'atteggiamento fortemente critico nei confronti di esso, si constata che in tutto o in parte esso viene tuttora adottato in numerose aule in cui si insegna lingua straniera. Questo attesta un certo grado di "naturalità" del metodo grammatica-traduzione: è naturale prendere coscienza della lingua materna quando si impara a scriverla (la lingua orale è acquisita in modo spontaneo nell'infanzia) e quindi è naturale identificare una lingua con il suo codice scritto; è naturale tentare di trasporre lo studio della grammatica, inteso come riflessione e sistematizzazione delle conoscenze sulla lingua materna, all'accostamento ad un'altra lingua; è naturale chiedersi e chiedere all'insegnante quale sia la parola o l'espressione che in lingua straniera "equivale" a quella italiana, ossia la "traduce".

Di parere esattamente contrario sono stati i fautori dei metodi diretti (a uno dei quali fu dato, anche nella diffusione commerciale, il nome di Metodo Natura). Il plurale "metodi diretti" rinvia ad una serie di varianti che hanno in comune l'uso costante della lingua-bersaglio in classe (motivo per il quale sono preferiti i docenti la cui madrelingua è la lingua in apprendimento), e la costruzione endogenetica del sistema della lingua straniera, ossia "per linee interne" e senza raffronti con la lingua materna dell'allievo. Per questo motivo i metodi diretti, almeno nella loro versione originale, sono più idonei all'insegnamento di una seconda lingua che non all'insegnamento della lingua straniera. Il principio fondamentale Teach the language, not about the language è comunque entrato stabilmente nella metodologia glottodidattica.

Tipico di questi approcci è l'assunto per cui l'apprendimento di una lingua straniera sarebbe assimilabile all'acquisizione naturale della lingua materna. Si deve però obiettare che l'infante ha delle motivazioni primarie molto cogenti per apprendere la propria lingua, al punto che il non imparare a parlare è indice di grave handicap. Tali motivazioni sono assenti in chi possiede già un codice linguistico mediante il quale formula ed esprime il proprio pensiero e comunica con gli altri.

L'aggettivo naturale rinvia quindi a stagioni passate e a opzioni di segno opposto; quale (o quali) fra tutti questi aspetti della "naturalità" sono stati recepiti dal Natural Approach? E' forte ed esplicito il richiamo al Natural (Direct) Method, filtrato però attraverso i risultati della ricerca in psicolinguistica. Infatti, nelle sue versioni più recenti l'approccio naturale di Terrell si è sempre più avvicinato alle ipotesi formulate da Krashen sull'acquisizione del linguaggio,(61) ipotesi che abbiamo già esposto, sia pure in forma succinta, a chiarimento di alcune posizioni assunte da Stevick.

L'acquisizione permanente ed operante si raggiunge attraverso la ricezione di un input comprensibile, in situazioni di uso della lingua con obiettivi di comunicazione autentica. L'input è reso comprensibile mediante l'impiego di figure, di gesti appropriati e di tecniche di TPR. Le regole esplicite di pronuncia e di grammatica servono solo per attivare il Monitor. Gli atteggiamenti dell'insegnante e il clima instaurato nella classe devono essere tali da minimizzare il filtro affettivo. Anche il l'approccio naturale prevede un periodo di silenzio prima della produzione da parte degli studenti.

La teoria della Second Language Acquisition, nel suo complesso, postula che l'acquisizione è un processo individuale e quindi anche il metodo che si basa su di essa ha come punto debole la difficoltà di un suo adattamento alle necessità collettive dell'insegnamento in classe, adattamento da realizzare senza che vengano meno le caratteristiche essenziali di questo approccio. Come tutti i metodi non convenzionali, richiede che gli studenti siano consapevoli delle sue caratteristiche; in questo caso è importante capire che non si mira a imparare la lingua straniera studiandola (nel senso dato abitualmente a questo verbo), bensì ad acquisirla attraverso il coinvolgimento in attività significative di comunicazione -- significative, ancora una volta, sia sul piano cognitivo che su quello affettivo.

d) The Silent Way

Il metodo silenzioso di Gattegno deve il suo nome al ruolo prevalente dell'insegnante, non più fornitore di modelli e spiegazioni ma catalizzatore di procedure euristiche. Il sussidio didattico tipico di questo metodo è costituito dai regoli di Cuisenaire, le asticciole di diversa lunghezza e colore normalmente usate per l'insegnamento dell'aritmetica in un approccio insiemistico. Dopo una semplice presentazione (con lunghi intervalli di silenzio perché ognuno abbia il tempo di assimilare gli enunciati) gli allievi sono invitati a giocare con i regoli e, se lo desiderano, a nominare ciò che hanno in mano o che stanno facendo. Le prestazioni corrette sono sottolineate da un cenno o semplicemente dal passaggio all'attività successiva.

Nel momento in cui l'insegnante tace c'è sempre qualche allievo che interviene, riempiendo il silenzio con qualche enunciato che per definizione è suscitato dal bisogno di partecipare all'evento. Anche in questo metodo si assegna un ruolo cruciale al gruppo-classe. Altri sussidi hanno lo scopo di far leva su tutte le competenze che l'allievo già possiede e che deve rivitalizzare nell'apprendimento di un'altra lingua: tra questi c'è il fidel, un tabellone che raggruppa i segni alfabetici in base alla pronuncia nella lingua materna degli allievi. Uno studente italiano, ad esempio, può (ri)scoprire che nella sua lingua il suono [k] è rappresentato dai grafemi <c>, <ch>, <q> e <k>, e che al suono [k:] corrispondono <cc>, <cch>, <cq> e <qq>.

Per vari aspetti, The Silent Way si differenzia dal Natural Approach contrapponendovi un sensibile grado di artificiosità. Ispirandosi al filone della psicologia cognitiva che riconosce nelle attività di problem-solving la modalità fondamentale per l'apprendimento, questo metodo si propone di creare stimolazioni nuove e inconsuete che pongano la mente degli studenti alla ricerca delle soluzioni idonee a svolgere i compiti man mano richiesti -- soluzioni non teoriche, come l'enunciazione di regole, ma operative. Il tutto, ancora una volta, in un clima di serenità e di fiducia reciproca tra insegnante e allievi, una fiducia che può tradursi anche nella rinuncia ad ottenere risultati immediati: dice Gattegno che "to require perfection at once is the great imperfection of most teaching."(62)

Al di là delle sue peculiarità e dei suoi limiti come metodo per l'acquisizione di una lingua straniera, The Silent Way si iscrive in un progetto educativo mirante a sviluppare la consapevolezza del proprio io e a mettere in luce la consapevolezza di tale consapevolezza. Questo attingere alle risorse di ognuno per potenziarle al massimo grado ha meritato a questo metodo la qualifica di umanistico e ne segnala i principi come validi al di là delle tecniche didattiche proposte.

e) Suggestopedia

Il metodo suggestopedico, introdotto dal bulgaro Lozanov, ricorre alle tecniche della psicologia clinica per creare attorno all'adulto un clima rilassato e ricco di stimoli gradevoli. L'allievo è incoraggiato a cambiare nome e a percepire se stesso come persona importante, di successo, convinta di essere dotata di quelle capacità apprenditive superiori che raramente vengono sfruttate pienamente. Il "tornar bambini" in classe è un mezzo che favorisce la suggestione di ipermnesia.

Tra lo stato di sonno e la tensione parossistica in situazioni di stress emotivo estremo vi sono diversi livelli di veglia: il soggetto può essere sveglio, consapevole, in allerta, attento, eccitato, ansioso e sconvolto. Il metodo suggestopedico opera a livello aware (che abbiamo reso con "consapevole"), ossia a un livello molto basso della scala dell'attenzione. L'autore non respinge i richiami che il termine suggestione porta con sé, ivi inclusi quelli alla pre-ipnosi, e si riallaccia esplicitamente, oltre che agli studi sovietici di psicologia, alle tecniche yoga (in particolare, il raja-yoga per il controllo della respirazione e, attraverso di essa, dei livelli di consapevolezza e concentrazione). La musica e il ritmo musicale hanno un ruolo centrale nell'apprendimento, in quanto concorrono alla "liberation from discrete micro psychotraumata, for destruction of incompatible ideas about the limits of human capabilities."(63)

Le poltrone comode, la musica barocca in sottofondo, le tecniche respiratorie per il rilassamento, la presentazione di materiale nuovo con toni variati e voci suggestive, capaci di raggiungere il livello subliminale aggirando le residue difese del soggetto, sono tutti elementi che confinano questo metodo ad un impiego in situazioni privilegiate; non sembrano possibili adattamenti scolastici senza tradirne almeno in parte la natura clinica. Rimane ribadita un'indicazione 'forte' e valida ovunque: l'importanza di creare un rapporto interpersonale positivo tra insegnante e allievo - un tratto comune, in maggiore o minor misura, a tutti i metodi affettivi-umanistici.

La Strategic Interaction

Con l'affermarsi dell'approccio comunicativo sono saliti alla ribalta della glottodidattica i diversi tipi di interazione: tra insegnante e allievi, tra gli allievi tra di loro (a coppie, a gruppi o in altre forme) e tra gli allievi e i media a loro disposizione. Come promuovere, sostenere, guidare e valutare i processi interattivi? Come fare sì che le interazioni siano significative per gli studenti e quindi produttive? Per rispondere a queste domande sono stati condotti numerosi studi, come quelli raccolti in volume dalla Rivers.(64)

In un suo volume uscito nello stesso anno,(65) l'americano (di origine abruzzese) R.J. Di Pietro adotta una linea molto più radicale: le interazioni non costituiscono una parte rilevante dell'approccio comunicativo, ma, organizzate secondo una precisa strategia, rappresentano il tutto. Attraverso una sequenza di copioni ("scenarios") lo studente impara a gestire situazioni man mano più complesse, non solo sotto il profilo linguistico. Ecco un esempio di copione:

Ditelo con i fiori

Ruolo A: (maschio o femmina) Sei un(a) fiorista. Hai delle rose fresche ma gli altri fiori non sono freschi. Se non li vendi presto, li dovrai buttare, rimettendoci i soldi. Cerca di vendere questi fiori al primo cliente che arriva.

Ruolo B: (maschio) Sei stato invitato a pranzo da una giovane donna tedesca che hai conosciuto da poco. Ti è stato detto che si portano dei fiori alla padrona di casa. Le rose sono particolarmente adatte a queste situazioni. Preparati ad acquistare dei fiori dal fiorista.(66)

Il copione può essere nella lingua materna degli studenti o nella lingua straniera in apprendimento (nell'originale, è redatto in inglese e tedesco); la formulazione del testo deve essere di difficoltà adeguata al livello linguistico degli studenti. L'esempio riportato si riferisce ad un corso di tedesco e questo spiega la precisazione della nazionalità della donna nella scheda B.

In una prima fase, gli studenti sono divisi in due gruppi, ognuno dei quali aiuta uno dei due interlocutori a preparare la drammatizzazione, pensando alle frasi che potranno essere utili e al lessico occorrente. Non conoscendo quale sia il compito dell'altro gruppo, ma sapendo che in genere i copioni non prevedono che tutto proceda nel più semplice dei modi, occorre anche pensare a possibili obiezioni o contrattempi e a soluzioni alternative. L'insegnante fornisce indicazioni e orientamenti ai gruppi di studenti che ne abbiano bisogno.

Nella seconda fase gli studenti che fanno da portavoce svolgono i loro ruoli, col sostegno dei rispettivi gruppi, mentre l'insegnante e il resto della classe assistono. C'è poi una terza fase, in cui l'insegnante guida una discussione sulla performance degli studenti. Poiché i copioni per loro natura sono 'aperti' la discussione riguarda non solo i problemi linguistici emersi ma anche lo sviluppo dell'interazione in termini di aderenza ai ruoli e di rispetto delle norme del vivere civile (in particolare, con riferimento agli usi e costumi stranieri), prendendo in considerazione anche i possibili esiti alternativi.

La Strategic Interaction mira quindi a contemperare:

- il bisogno che gli studenti hanno di esprimersi a partire da esperienze personali dirette;

- l'esigenza dell'insegnante di "dare il la" affinché non ci siano dispersioni e tempi morti protratti eccessivamente;

- le istanze di fondo della glottodidattica umanistica: bisogno di sicurezza, di coinvolgimento totale, di superamento delle barriere psicologiche;

- un curricolo più o meno tradizionale, attuato nelle normali aule scolastiche.

Gli studi di M. Danesi

Non ci occupiamo qui di un metodo particolare ma di alcune analisi che lo studioso italo-canadese ha condotto soprattutto nel campo della neurolinguistica e che contribuiscono a chiarire i pregi e i limiti, le potenzialità e i punti deboli dei diversi approcci. Abbiamo già accennato alla bimodalità connessa alla lateralizzazione cerebrale: la modalità destra, olistica-globalistica e la modalità sinistra, analitica-serialista. I metodi formali-deduttivi, basati sull'esposizione di regole e lo studio dei vocaboli come tali, fanno appello in modo quasi esclusivo alla modalità sinistra; gli approcci 'naturali' e quasi tutti i metodi 'umanistici' fondano le loro procedure sulla valorizzazione massima della modalità destra. Interpretando in chiave glottodidattica gli esiti degli studi neurolinguistici, Danesi sottolinea che accanto alla bimodalità vi è una direzionalità nei processi di acquisizione linguistica: non solo vi deve essere collaborazione tra i due emisferi cerebrali, ma questa segue un percorso preciso, da destra a sinistra, partendo cioè da un'assunzione globale e contestualizzata del dato linguistico per poi elaborarlo ai vari livelli (fonologico, morfosintattico, lessicale-semantico) nelle aree di Wernicke e di Broca, preposte rispettivamente alla comprensione e alla produzione dei messaggi verbali.

Danesi individua quindi tre principi neuropedagogici ai quali devono ispirarsi tutte le tecniche glottodidattiche:

- la contestualizzazione come "rapporto concreto [del linguaggio] con il mondo degli oggetti", per cui "sarà sempre necessario inserire in contesti d'uso significativi le forme linguistiche";(67)

- la sensorialità in quanto pluralità di canali attraverso cui giungono le stimolazioni alla corteccia cerebrale;

- l'affettività che "implica, soprattutto, la creazione di un ambiente congeniale e ricco di informazioni tale che il bambino potrà sentirsi a suo agio."(68)

I successi e gli insuccessi dei vari metodi possono pertanto essere reinterpretati alla luce di come i metodi stessi siano (in)capaci di rispettare questi principi e di tradurli in didassi appropriata. Ogni eccesso in una direzione (razionalità o emotività, meccanicismo o spontaneismo, ricezione o produzione, modalità sinistra o modalità destra, accuracy o fluency) reca con sé il germe del rifiuto e l'avvio di un movimento verso la direzione opposta, con reazioni spesso eccessive. Ciò ha purtroppo ingenerato in qualche caso una "sindrome del pendolo" tra analisi e uso della lingua straniera, dando luogo ad interpretazioni eccessivamente riduttive del discorso glottodidattico e gravi distorsioni.(69)

In un primo momento Danesi preferisce non proporre una propria sintesi metodologica, richiamandosi ad un approccio eclettico nel quale non si cerca di seguire un metodo ma si adottano tutte le tecniche glottodidattiche(70) appropriate, mirando allo sviluppo equilibrato della personalità dell'allievo e, all'interno di essa, delle competenze e abilità linguistico-comunicative richieste. Più recentemente ha formulato l'ipotesi di una didattica che si richiama alle "metafore con cui viviamo"(71) per coinvolgere lo studente nella scoperta delle immagini mentali operanti nella lingua materna e nella lingua straniera, immagini in parte codificate non solo nelle metafore "morte" ma soprattutto nei sottosistemi che interpretano certe aree semantiche con i termini di altre: l'amore come cibo ("ti mangerei di baci", "luna di miele", "dolcezza"), la discussione come guerra (in inglese: "he attacked me on this point", "I destroyed his argument"), e numerose altre.(72)

Conclusioni

Tutte le proposte di approcci affettivi-umanistici si presentano oggi come work in progress, con continue evoluzioni ad opera sia degli autori citati sia, là dove gli iniziatori non sono più tra noi, dei loro allievi e seguaci. Altrettanto provvisorio deve quindi essere ogni tentativo di bilancio e di valutazione.

Concordiamo con Danesi quando afferma che complessivamente i metodi umanistici "mirano a incorporare elementi dagli altri metodi (deduttivi, induttivi e funzionali) mentre danno priorità agli affetti, ai bisogni e alla personalità del discente."(73) In realtà, come abbiamo cercato di mostrare, c'è anche qualcosa di più: si profila un nucleo omogeneo di principi psicopedagogici e glottodidattici che offrono una solida base comune alle diverse proposte, ognuna delle quali, presa a sé, risulta riduttiva e costrittiva. In qualche caso vi è una presa di coscienza esplicita di queste correlazioni, come quando Krashen e Terrell "importano" nel loro Natural Approach le tecniche di TPR.

La scarsa attenzione riscossa finora da questi metodi presso di noi è in parte da attribuire ad alcune loro caratteristiche che possono renderli meno attraenti agli insegnanti interessati soprattutto a ciò che è direttamente reimpiegabile nelle classi; in maggior misura è collegata alla necessità di seminari che, come quello di Seul citato da Stevick, comprendano dimostrazioni dei materiali e delle tecniche. Questo chiama in causa la formazione universitaria e post-universitaria degli insegnanti di lingue straniere, e non solo in quanto operatori di glottodidassi ma come operatori culturali e, ancor più, come educatori. Oggi più che mai, in tempi di inquietudine, di incertezza politica e di confusione morale, c'è bisogno di persone che vivano la loro professionalità docente come servizio ad altre persone da guidare alla scoperta di valori non effimeri; e l'educazione linguistica non è certo uno strumento di secondaria importanza.

 

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1) Ad esempio, la prima proposta di un metodo basato sulla Total Physical Response (per cui si veda infra) risale al 1965.

2) Tra le opere più significative sotto il profilo glottodidattico ricordiamo: C. C. FRIES, Teaching and Learning English as a Foreign Language, Ann Arbor, The University of Michigan Press, 1945; R. LADO, Linguistics Across Cultures, Ann Arbor, The University of Michigan Press, 1957; R. LADO, Language Testing, Londra, Longmans, 1961; R. LADO, Language Teaching: A Scientific Approach, New York, McGraw-Hill, 1964 (trad. it. Per una didattica scientifica delle lingue, Bergamo, Minerva Italica, 1974). Facevano inoltre parte del gruppo importanti linguisti come E. Nida e K. Pike.

3) L. BLOOMFIELD, Outline Guide for the Practical Study of Foreign Languages, Baltimore, Linguistic Society of America, 1942.

4) Si veda il cap. terzo di B. CAMBIAGHI, Didattica della lingua francese, Brescia, La Scuola, 1983.

5) Citeremo solo due opere tra le più influenti: D.A. WILKINS, Notional Syllabuses, Londra, Oxford University Press, 1976, e H.G. WIDDOWSON, Teaching Language as Communication, Oxford University Press, 1978.

6) Con la notevolissima eccezione del bulgaro Lozanov.

7) Nella presentazione del volume E.W. STEVICK, Humanism in Language Teaching, Oxford University Press, 1990 (nel seguito, citeremo quest'opera con le iniziali del titolo: HLT), si dice che è stato "learner, teacher and teacher trainer since 1938."

8) In E.W. STEVICK, Teaching and Learning Languages, Cambridge University Press, 1982 (nel seguito, TLL), a p. 27 l'autore scrive "When I was being trained, back in 1949". In una comunicazione personale dichiara: "in 1948, I was expecting to go abroad as a semi-trained English teacher for a missionary organization. When that became impossible, I entered graduate school and took an M.A. in that field."

9) "Una persona ha appreso una lingua straniera quando, in primo luogo, entro un lessico delimitato si è impadronito del sistema fonologico (cioè quando sa capire il flusso del discorso e ottenerne una produzione comprensibile) e, in secondo luogo, ha reso automatici e abituali i meccanismi strutturali (cioè i modi basilari di dare ordine alle espressioni)." C.C. FRIES, Teaching and learning English as a Foreign Language, Ann Arbor, University of Michigan Press, 1945, p. 3; ripreso in E.W. STEVICK, Helping People Learn English, New York, Abingdon Press, 1955 (nel seguito, HPLE), p. 15.

10) Ibidem. "Una persona ha appreso una lingua straniera quando è capace di capire e di usare in modo comprensibile le espressioni di cui ha bisogno in qualsiasi situazione alla quale egli partecipi. Ha appreso parzialmente una lingua straniera quando è capace di usare e capire una parte delle espressioni di cui ha bisogno."

11) "le situazioni stesse sono diverse tra cultura e cultura": HPLE, p. 17; il corsivo è nell'originale.

12) R. LADO, Linguistics Across Cultures, Ann Arbor, University of Michigan Press, 1957.

13) E' una denominazione che Stevick rifiuta: in E.W. STEVICK, Memory, Meaning & Method, Rowley, Mass., Newbury House, 1976 (nel seguito, MMM) a p. 52 accenna a "the tradition that has viewed language teaching as one kind of applied linguistics".

14) E.W. STEVICK, A Workbook in Language Teaching, New York, Abingdon Press, 1963; nel seguito, WLT.

15) TLL, p. 27. "All'epoca del mio tirocinio ... la regola era chiara: 'prima la correttezza formale, poi la scorrevolezza dell'eloquio'"

16) WLT, p. 101.

17) N. CHOMSKY, Syntactic Structures, L'Aia, Mouton, 1957, p. 15.

18) "Nave affonda" (titolo di notizia) o "spedite acquai" (testo di telegramma).

19) E.W. STEVICK, "The Riddle of the 'Right Method'", in Language Teaching Forum, XII, 2, apr.-giu. 1974, p. 1.

20) Ibidem. L'articolo è ripreso e sviluppato nella terza parte di MMM. "Nella didattica delle lingue, il Metodo A è la contraddizione logica del Metodo B: se i presupposti da cui A asserisce di derivare sono corretti, allora B non può funzionare, e viceversa. Eppure un certo collega ottiene ottimi risultati con A e un altro ottiene risultati analoghi con B. Come è possibile? - Questo enigma mi turba da 25 anni -- da quando ho scoperto che il primo metodo che ho imparato a usare non era il solo modo valido di insegnare. A volte lo stesso enigma -- sono convinto che in ultima analisi sia proprio lo stesso enigma -- assume una forma diversa: Perché il Metodo A (o B) a volte funziona così bene e altre volte così male?

21) TLL, p. 13. "Le correzioni di questo tipo ti entrano dall'orecchio e ti escono dalla bocca senza smuovere nulla all'interno."

22) Si veda, ad esempio, il cap. 9 di N. CHOMSKY, Syntactic Structures, cit.

23) MMM, p. 47; "gli insegnanti di lingue si trovano nel pieno di una forte ripresa dell'interesse per questo tipo di 'significato'".

24) Ibidem; "quale incidenza la partecipazione a una data attività -- un esercizio, un dialogo o un picnic del Club dello Spagnolo --abbia su un individuo, in rapporto alla sua gamma di motivazioni e bisogni."

25) MMM, p. 50: "Nella maggior parte delle nostre classi di lingua straniera possiamo presumere che gli studenti (e l'insegnante) abbiano soddisfatto in misura almeno tollerabile i bisogni fisici, ma in nessuna classe possiamo presumere che gli studenti (e l'insegnante) siano a loro agio sia al livello della 'identità' che al livello della 'autostima.' Eppure, se si eccettua una crescente attenzione ai fattori di 'integrazione', che si collocano al livello della 'identità', quasi tutti i nostri dibattiti sulla motivazione si sono occupati dei due strati più elevati: i desideri consci di successo di un tipo o dell'altro... Il mancato soddisfacimento dei bisogni di identità e autostima dà luogo a problemi emotivi, i cui effetti collaterali possono essere sia fisici che intellettivi."

26) Si veda C. ROGERS, On Becoming a Person, Boston, Houghton-Mifflin e Londra, Constable, 1961, in particolare il cap. 1.

27) L'Analisi Transazionale riconosce tre stati dell'ego: il Genitore, il Bambino e l'Adulto. Stevick ne fa un'interessante applicazione, che lo spazio non ci consente di sviluppare, all'apprendimento delle lingue; rinviamo a MMM, pp. 66-76.

28) Si veda MMM pp. 91 segg. L'analisi di Stevick si basa soprattutto su A. ZALEZNIK & D. MOMENT, The Dynamics of Interpersonal Behavior, New York, Wiley, 1964, pp. 273-274.

29) E.W. STEVICK, Images and Options in the Language Classroom, Cambridge University Press, 1986 (nel seguito, IOLC).

30) MMM, p. 27: "Ciò che è importante e ha una carica emotiva tende ad essere incamerato più rapidamente del materiale privo di emotività e importanza."

31) G.A. MILLER, Language and Communication, New York, McGraw-Hill, 1951, p. 218, cit. in MMM, p. 27. "Nella rievocazione di storie significative, i dettagli essenziali del racconto vengono ricordati altrettanto bene dopo un'attività di veglia quanto dopo il sonno; i dettagli irrilevanti vengono richiamati meglio dopo il sonno che dopo la stessa quantità di tempo trascorsa in attività di veglia."

32) TLL, pp. 23-25.

33) Ripreso da E.W. STEVICK, Adapting and Writing Language Lessons, Washington D.C., Superintendent of Documents, 1971, cit. in MMM p. xi (preface).

34) MMM, p. 3: "Poiché il linguaggio è solamente nostro, e l'apprendimento linguistico è un'esperienza doppiamente unica, spesso ne parliamo come se fosse esercitato da menti senza corpo."

35) R. TITONE, "A Psycholinguistic Definition of 'the Glossodynamic Model'", in R.I.L.A., a. V, n. 1, 1973, pp. 5-18; di questo autore sono peraltro citati altri lavori, di poco anteriori.

36) TLL, p. 25: "Nell'acquisizione l'immagine a partire dalla quale ricostruiamo ciò che ci occorre è ricca e ben integrata, nell'apprendimento è impoverita e non integrata."

37) IOLC, p. ix: "Questo concetto è stato oggetto di molte definizioni contrastanti nella letteratura specialistica. Come viene usato qui, il termine si riferisce alla totalità delle reazioni che si hanno di fronte a una data parola o esperienza. Queste reazioni sono presenti in molte dimensioni, una sola delle quali è quella visiva. Un'immagine in questo senso può eventualmente includere percezioni quasi-sensoriali di natura visiva o di altra natura. Un'immagine può influire sul comportamento anche quando è più o meno incompleta. Abbiamo immagini della forma scritta ed orale delle parole, nonché degli oggetti fisici e delle esperienze."

38) Colpisce nei lavori di questo autore il ruolo del tutto marginale di fatto assegnato ai sussidi didattici di ogni tipo -- una posizione quindi ben lontana da quella che caratterizza sia il Metodo S.G.A.V. che proposte più recenti di approcci altamente tecnologicizzati, in cui il video e/o il computer assumono un rilievo primario.

39 ) TLL, p. 31 segg.

) TLL, p. 33.

41) La metafora del worktable è usata da Stevick per indicare il luogo della mente dove si pongono sia gli input esterni che i dati recuperati dalla memoria, per essere elaborati.

42) TLL, pp. 32-33.

43) Riprendiamo il termine da M. DANESI, Neurolinguistica e glottodidattica, Padova, Liviana, 1988.

44) TLL, pp. 27-28: "la fluency dipende dai fattori emotivi almeno tanto quanto dalla quantità di esercizio, e troppa insistenza sulla accuracy può minare le fondamenta essenziali della fluency."

45) TLL, p. 55: "Gli studenti non hanno sempre bisogno della massima sicurezza. Dopo che si è avviato un esercizio e hanno visto com'è, la maggior parte delle classi sarà pronta per l'alternativa più impegnativa." Nel paragrafo da cui citiamo si discute se sia preferibile chiamare gli studenti (o i gruppi) a intervenire seguendo un ordine prestabilito o un ordine casuale.

46) TLL, p. 55: "non regolatevi in base a quello che dico qui. Regolatevi in base a quello che sentite al momento nella vostra classe, e agli sguardi che vedete sulle facce dei vostri studenti."

47) Cfr. IOLC, p. 58.

48) Qui rendiamo con domanda l'inglese task, termine molto più ampio che comprende le domande in senso stretto, gli stimoli verbali o non-verbali e ogni tipo di istruzione per l'esecuzione di un'attività ricettiva o produttiva.

49) Ad esempio: insegnando a dire i numeri di telefono, si deve chiedere agli studenti di usare i numeri veri (il proprio e quelli dei compagni) o è meglio che dicano invece quelli trovati sul libro di testo e/o ne usino altri fittizi?

50) Ci si riferisce ad errori come chiamare uno studente col nome di un altro o (fingere di) sbagliare la data del giorno. Possono servire per stimolare l'attenzione e sviluppare un atteggiamento non supino rispetto all'output dell'insegnante.

51) Ad esempio, posta la domanda "Qual è la capitale dell'Irlanda?", la risposta può essere "Dublino" o "E' Dublino" (i "frammenti di frase" normalmente usati dai nativi in situazioni extrascolastiche) oppure "La capitale dell'Irlanda è Dublino", frase completa tipica delle risposte scolastiche.

52) R.T. CLIFT, W.R. HOUSTON, M.C. PUGACH (a cura di), Encouraging Reflective Practice in Education, New York-London, Teachers College, Columbia University, 1990; M.J. WALLACE, Training Foreign Language Teachers. A Reflective Approach, Cambridge University Press, 1991.

53) A.R. MIELE, Armed Forces language training in peacetime, tesi di dottorato non pubblicata, Columbia University, 1958, citato in J.J. ASHER, The Total Physical Response Approach in Second Language Learning, "The Modern Language Journal", LIII, 1 (1969), p. 3: "Gli americani appaiono carenti nell'apprendimento delle lingue straniere. Dopo aver studiato una lingua straniera a scuola per due anni, l'americano medio non solo ha una fluency vicina allo zero, ma può averne tratto un apprendimento negativo se ora l'individuo ha un atteggiamento di paura nei confronti dell'apprendimento di una seconda lingua. In una tesi di dottorato apparsa nel 1958, Miele riferisce che fra tutti i nostri rappresentanti ufficiali americani all'estero, solo uno su trenta sapeva parlare la lingua del paese ospitante."

54) Ibidem, p. 4.

55) J. C. RICHARDS, T.S. RODGERS, Approaches and Methods in Language Teaching, Cambridge University Press, 1986, p. 154.

56) "l'accettazione di se stessi e degli altri come persone unificate che funzionano in tutti i loro aspetti emotivi, istintivi e somatici oltre che nella più immediata consapevolezza intellettiva." C.A. CURRAN, Counseling and Psychotherapy: The Pursuit of Values, New York, Sheed and Ward, 1968, p. 48.

57) Si veda soprattutto C. ROGERS, op. cit., cap. 9.

58) Si intuisce che siamo lontani dai concetti teologici di Incarnazione e Redenzione; per una discussione dei problemi suscitati dall'uso di questi termini rinviamo a HLT, pp. 77-95.

59) Op. cit., p. 155.

60) Per le questioni di storia della glottodidattica rinviamo a R. TITONE, Glottodidattica: un profilo storico, Bergamo, Minerva Italica, 1980; A.P.R. HOWATT, A History of English Language Teaching, Oxford University Press, 1984; R. TITONE, Cinque millenni di insegnamento delle lingue, Brescia, La Scuola, 1986.

61) Sei anni dopo la prima presentazione dell'approccio naturale (T.D. TERRELL, A natural approach to second language acquisition and learning, "Modern Language Journal", 61 (1977), pp. 325-36) appare un "aggiornamento" di cui Krashen è coautore: S.D. KRASHEN & T.D. TERRELL, The Natural Approach: Language Acquisition in the Classroom, Oxford, Pergamon, 1983. Si noti nel secondo titolo l'uso delle maiuscole e dell'articolo determinativo, che indicano la transizione da nome comune a nome proprio.

62) Nonché da in congiunzione con [s]: ['taksi]

63) "esigere subito la perfezione è la grande imperfezione della maggior parte dell'insegnamento." C. GATTEGNO, Teaching Foreign Languages in Schools: The Silent Way, New York, Educational Solutions Inc., 1972 (2^ ed.); cf. MMM, p. 140.

64) "liberazione da micropsicotraumi distinti, per la distruzione di idee incompatibili sui limiti delle capacità umane." G. LOZANOV, Suggestology and Outlines of Suggestopedy, New York, Gordon and Breach, 1978, p. 252 [ed. it. Roma, Armando, 1983].

65) W.M. RIVERS (a cura di), Interactive Language Teaching, Cambridge University Press, 1987.

66) R.J. DI PIETRO, Strategic Interaction, Cambridge University Press, 1987.

67) Ibidem, p. 28.

68) M. DANESI, Neurolinguistica e glottodidattica, cit., p. 89.

69) Ibidem, p. 93. Danesi chiarisce nel seguito che questi principi non si applicano solo al bambino e/o al soggetto affetto da patologie del linguaggio ma hanno un'applicazione generalizzata.

70) M. DANESI, Manuale di tecniche per la didattica delle lingue moderne, Roma, Armando, 1988, p. 40; cfr. P.E. BALBONI, Guida all'esame di lingue straniere, Brescia, La Scuola, 1985, pp. 221 (2a edizione Elementi di Glottodidattica, 1990), p. 35.

71) Sul concetto di tecnica, centrale nel discorso glottodidattico odierno, si vedano M. DANESI, Manuale di tecniche..., cit.; P.E. BALBONI, Tecniche didattiche e processi d'apprendimento linguistico, Padova, Liviana, 1991; P.E. BALBONI, "Teoria, approccio, metodo tecnica in glottodidattica", in Scuola e Lingue Moderne, a. XXX, n. 1, Febbraio 1992, pp. 6-11.

72) G. LAKOFF & M. JOHNSON, Metaphors we Live By, Chicago, Chicago University Press, 1980.

73) L'argomento è sviluppato in Lakoff & Johnson, cit. La prospettiva glottodidattica a cui si è accennato è stata presentata da M. Danesi durante un seminario tenuto in Università Cattolica nel febbraio 1993 (Atti in preparazione).

74) M. DANESI, Manuale di tecniche..., cit., p. 25.