CAPACITA' DI SINTESI

Noterella di educazione linguistica a margine di un convegno

di Gianfranco Porcelli

Da Scuola e Lingue Moderne, a. XXVII, n. 3, marzo 1989, pp. 117-120.

 

C'è uno spiritello dispettoso che si impegna a turbare talvolta i miei rapporti con l'educazione linguistica e che si chiama "Capacità di sintesi". Malgrado il suo nome sia nobile e rassicurante, come quello di molti termini tecnici, mi ha creato qualche problema. Il fatto è che devo confessare di non sapere che cosa esattamente significhi capacità di sintesi.

Ricordo consigli di classe, alla scuola media, nei quali l'insegnante di lettere sosteneva che "l'alunno Tale ha buone capacità di sintesi" e, qualche minuto dopo, l'insegnante di matematica affermava che "l'alunno Tale non ha capacità di sintesi." A parte qualche sommessa rimostranza del sottoscritto (accolta con sufficienza e sostanzialmente ignorata, come si ignorano spesso le osservazioni dei colleghi giovani e "nuovi" nella scuola), nessuno sembrava preoccuparsi della contraddizione. Eppure, delle due l'una: o almeno una delle due colleghe conosceva male quello scolaro, nel senso che non ne valutava correttamente il grado di sviluppo dei processi mentali, oppure alla capacità di sintesi erano attribuiti significati diversi.

Questa seconda ipotesi si rivelò di gran lunga la più probabile quando qualcuno premetteva la restrizione "nella mia materia, X ha (o non ha) capacità di sintesi." Si affermerebbe quindi l'esistenza di una capacità di sintesi in matematica - rivelata forse dalla capacità di fare calcoli mentali e quindi "saltare qualche passaggio" nel risolvere un'espressione - e di una capacità di sintesi in italiano, rivelata - suppongo - dal saper fare bene i riassunti o dal saper esporre con ordine e chiarezza un argomento studiato.

Il problema si è riaffacciato prepotentemente alla mia coscienza in occasione di un recente convegno(1) quando, nel corso di una discussione che mirava a definire quali potessero essere gli obiettivi specifici dell'educazione linguistica (L1 ed L2) nel triennio delle superiori, uno dei coordinatori del gruppo fece presente che:

- non era opportuno dimenticare che all'esame di maturità la prova-cardine nell'ambito dell'educazione linguistica è il tema d'italiano;

- in vista di ciò, tutte le attività di cui si era parlato durante il convegno, nel quadro del funzionalismo e della grammatica del testo, dovevano mirare a sviluppare i requisiti necessari per scrivere un buon tema - in primis, la "capacità di sintesi".

La mia richiesta di definire meglio questo termine venne accolta con irritazione: "Ma insomma! Sappiamo che significa! E' il contrario della capacità di analisi!" Insoddisfatto della risposta, insistetti per ottenere chiarimenti e puntualizzazioni.

La definizione che mi venne offerta fu

la capacità di individuare un'asserzione precisa, una tesi, e di sostenerla in modo coerente ed efficace offrendo una varietà di ragioni valide.

La capacità di sintesi si identifica allora con una competenza testuale riferita a testi di tipo argomentativo? No, fu la risposta, essa comprende ben altro: la capacità di cogliere i dati essenziali e riesporli, per l'appunto, sinteticamente (il saper riassumere?); la capacità di non "saltare di palo in frasca" (la coerenza testuale?); e simili.

In seguito (e in separata sede) ho posto lo stesso problema ad un collega, studioso di letteratura, ottenendo come risposta

la capacità di esporre il proprio pensiero in modo diretto, senza circonlocuzioni né parole superflue.

Alla mia domanda se, allora, capacità di sintesi fosse sinonimo di concisione rispose che no, "c'è molto di più, c'è dell'altro" - ma di nuovo non si riuscì, anche per mancanza di tempo, a definire puntualmente in che cosa consistesse la differenza.

Nella sua tassonomia degli obiettivi cognitivi, il Bloom(2) indica la sintesi come penultimo gradino della gerarchia (preceduta da conoscenza, comprensione, applicazione e analisi e superata solo dalla valutazione) e la definisce come l'associare idee per formarne di nuove. Ne risulterebbe che la "capacità di sintesi" è quell'abilità che nelle nostre scuole va sotto il nome di "saper fare i collegamenti".

Non intendo procedere lungo questa strada anche perché mi preme sottolineare che l'interesse per l'argomento non è affatto "accademico": almeno in questa sede non mi importa molto di un rigore scientifico nella definizione del termine. Mi preoccupa invece il fatto che lo spiritello, oltre che maligno, è anche tendenzialmente classista e sembra preferire la compagnia di quei ragazzi di cui è simbolo "il Pierino del dottore" nella Lettera ad una professoressa di don Milani.

Se diciamo ad un allievo "non hai capacità di sintesi" (magari indirettamente, giustificando con tale motivazione un voto negativo in un tema) compiamo lo stesso tipo di operazione di quando gli diciamo, più o meno esplicitamente, "sei immaturo". Non c'è rimedio, se non sentirsi come appeso ad un ramo nella speranza che si squarcino le nubi ed un raggio di sole si degni benignamente di favorire l'afflusso della linfa necessaria.

La scuola dovrebbe invece avere un atteggiamento di proposta attiva, suggerendo a chi incontra delle difficoltà i modi ed i mezzi per superarle. La mia convinzione è che se ci si incammina su questa strada, il numero delle cose "che non si possono insegnare" diminuisce progressivamente. Nell'esempio, è probabile che le grammatiche del testo e del discorso aiutino ad affrontare molti dei problemi che si collegano alla "capacità di sintesi", qualsiasi cosa essa significhi.

Per far ciò occorre abituarsi a cogliere analiticamente i "sintomi" - o, se si preferisce un termine più tecnico, gli indicatori: da che cosa capiamo che lo studente ha/non ha capacità di sintesi? Che cosa deve fare (in termini di comportamenti ben definiti e osservabili) per rivelare tale capacità? Solo le risposte a queste domande ci indicheranno quali spiegazioni grammaticali (in senso lato) siano opportune e quali esercizi suggerire allo studente perché affronti in positivo i propri problemi.

Può darsi che non tutte le difficoltà possano essere aggredite in questo modo; forse vi saranno sempre delle aree molto complesse di fronte alle quali la scuola come tale è impotente (cioè inutile: e in tal caso ci si può chiedere se sia giusto pretendere dagli allievi ciò che non siamo in grado di dare loro - ma questo è un altro discorso). Ma gli studi recenti sull'italiano e sulle principali lingue straniere ci offrono nuovi e più sofisticati strumenti di analisi linguistica da cui si stanno traendo materiali didattici innovativi e di notevole interesse.

Concludo sottolineando che queste osservazioni - che vogliono soltanto stimolarne altre più approfondite - si rivolgono agli insegnanti di lingue straniere non meno che a quelli di italiano, e non soltanto in nome di una educazione linguistica che abbraccia entrambe le aree disciplinari. E' importante per chi insegna lingue seconde o straniere sapere quali gradi di competenza testuale e pragmatica gli studenti abbiano raggiunto nella loro prima lingua (materna o nazionale), perché in molti casi si possono recuperare in L2 abilità già presenti in L1. D'altra parte, attraverso l'osservatorio privilegiato costituito da una lingua straniera possiamo cogliere - e far cogliere ai nostri allievi - aspettti importanti del comunicare che sfuggirebbero ad una visione soltanto monolingue.

P.S. Mia figlia, diciassettenne liceale, sostiene che "capacità di sintesi" il più delle volte significa "saper scrivere il tema che la prof si aspetta, o rispondere alle sue domande come vuole lei - anche se non te lo dice prima come lo vuole, perché tante volte nemmeno lei lo sa." Afferma inoltre che i suoi compagni su questo sono d'accordo con lei. Non so fino a che punto si possa condividere un giudizio così drastico (qualche collega di materie letterarie mi ha detto però che "c'è del vero"). Di fatto non si può ignorare un atteggiamento diffuso e che come tale - giusto o sbagliato che sia - incide sul clima psicologico in cui si svolge l'attività scolastica.

P.P.S. Vorrei chiedere a chi ha avuto la pazienza di leggermi sin qui: questo scritto dimostra molta, poca o nulla capacità di sintesi? Da quali indicatori lo si evince? Se vi sono carenze, quali attività o esercizi mi possono essere utili?

Note

1) ANILS Bari e IRRSAE Puglia: Grammatica funzionale e grammatica testuale nell'educazione linguistica, Bari, 19-21 gennaio 1989.

2) B.S. BLOOM, Taxonomy of educational objectives, handbook I: cognitive domain, New York, David McKay, 1956.

 

SCUOLA DIFFICILE E SCUOLA SERIA

di Gianfranco Porcelli

in Scuola e Lingue Moderne, a. XXIX, n. 4, Aprile 1991, pp. 112-118

Tra le tante (troppe?) cose che ho scritto per Scuola e Lingue Moderne negli ultimi tempi ce n'è una in particolare che ha attirato l'attenzione dei lettori, dai quali ho ricevuto cenni di approvazione e di dissenso, richieste di precisazione e di chiarimento: si tratta della "noterella di educazione linguistica" pubblicata sul n. 3/1989 col titolo Capacità di sintesi. Poiché essa tocca argomenti che incidono profondamente sul ruolo professionale dell'insegnante, come la valutazione e la selezione, e temo di essere stato frainteso, chiedo di nuovo ospitalità su queste colonne per vedere se mi riesce di far fare qualche piccolo passo in avanti al dibattito sull'argomento.

Non ho detto, né intendevo dire "tra le righe", che la capacità di sintesi è una competenza inutile, indesiderabile e che quindi la scuola non deve richiederla agli allievi. Ho scritto invece che:

a) è spesso una competenza mal definita, tant'è vero che insegnanti diversi intendono cose diverse: "saper riassumere", "saper 'fare i collegamenti'", "saper esporre con ordine e chiarezza", "risolvere espressioni algebriche in pochi 'passaggi'" - o magari tutte queste cose assieme e altre ancora;

b) di conseguenza, avviene che in qualche consiglio di classe (e parlo per esperienza diretta) insegnanti diversi dicano che uno stesso soggetto ha e contemporaneamente non ha capacità di sintesi, il che è un assurdo psicopedagogico e fa dubitare della razionalità di chi accetta acriticamente tale insanabile contraddizione;

c) soprattutto, finché rimane una competenza mal definita non si riesce ad indicare agli studenti che hanno carenze di vario tipo, ma riferibili genericamente alla "capacità di sintesi", che cosa debbono fare, in positivo, per cercare di conseguire prestazioni soddisfacenti sotto questo profilo.

Il mio desiderio segreto era di ricevere lettere in cui si dicesse, più o meno: "Caro professore, lei si sbaglia; con i colleghi ci siamo posti il problema e abbiamo stabilito che per noi la capacità di sintesi consiste nelle abilità A, B e C. Il possesso di tale capacità è rivelato dagli indicatori X, Y e Z, e quindi quando parliamo di capacità di sintesi all'interno del nostro consiglio di classe sappiamo esattamente che cosa intendiamo, e come si fa a stabilire se Pierino ha o non ha capacità di sintesi." Avrei così potuto confrontare le definizioni e gli indicatori proposti per le variabili A, B, C, X, Y, e Z, per giungere forse a cogliere alcune coordinate comuni, a determinare una serie di componenti essenziali e quindi a delineare il contributo specifico di un insegnante di lingua straniera al conseguimento della "capacità di sintesi".

Infatti sono convinto che molte delle abilità che vengono fatte rientrare fumosamente nell'ambito della "capacità di sintesi" siano molto importanti e costituiscano obiettivi irrinunciabili di un corso di lingua straniera: saper riassumere e parafrasare, esporre oralmente o per iscritto con ordine e chiarezza, senza ridondanze e divagazioni, cogliere il dato essenziale di un' argomentazione, ecc. Purtroppo, invece, il mio intervento è stato letto da alcuni come un tentativo di appoggiare i sostenitori della 'scuola facile', non selettiva.

Efficienza e bocciature

Qui entriamo in un'ottica diversa. La selettività non dipende dalla struttura o dai contenuti di una materia ma da decisioni e scelte di politica scolastica. Come contribuente ritengo che, sul piano generale, i soldi spesi per la pubblica istruzione abbiano il fine di dare il massimo di istruzione a quante più persone possibile: il che non vuole dire scuola facile, ma scuola efficiente. Nel concreto si devono fare poi varie distinzioni, ad esempio tra la scuola dell'obbligo e le scuole superiori, le quali rilasciano un 'lasciapassare' per l'università o per impieghi a livelli di responsabilità.

Che le bocciature siano una componente necessaria dell'efficienza scolastica mi sembra tuttavia opinabile. Una scuola che riesce a preparare bene tutti i propri allievi, o un'alta percentuale di essi, è migliore di una scuola che espelle chiunque non regga il passo degli altri. Ci lamentiamo perché l'università italiana non produce abbastanza ingegneri, ma poi le matricole del Politecnico di Milano devono conquistare a gomitate un posto decente nelle aule sovraffollate (e non sempre vi riescono). Una didassi più seria consentirebbe a più persone di ricevere una preparazione adeguata.

L'insegnante che analizza bene i propri obiettivi e li comunica in modo chiaro e puntuale ai propri allievi può far sì che questi concentrino i loro sforzi là dove è più importante e quindi riescano ad ottenere quei risultati soddisfacenti che invece vengono meno in presenza di un atteggiamento scoraggiante, punitivo o indifferente da parte del docente. Che se poi, dopo aver lavorato ai massimi livelli di impegno professionale ed aver esperito tutti i tentativi ragionevolmente possibili (attività di recupero, ecc.) vi fossero soggetti incapaci di raggiungere gli obiettivi minimi stabiliti per i vari gradi di scolarità, non si vede perché mai si dovrebbe dare una 'promozione' che sarebbe solo fittizia e non un reale 'muoversi in avanti'. Considero la selezione un fatto naturale e necessario; nessuno sale su un aereo o entra in sala operatoria se non nella convinzione che il pilota e il chirurgo siano stati accuratamente selezionati, con il totale e definitivo allontanamento degli incapaci dai luoghi in cui possono nuocere.

La padronanza della lingua straniera come strumento di comunicazione presuppone che l'apparato grammaticale sia stato interiorizzato, assieme ad un lessico adeguato. Finché la lingua non 'vive' all'interno del soggetto apprendente essa rimane 'lettera morta', ossia una serie di nozioni sterili; e i fattori psicoaffettivi assumono un assoluto rilievo in questo processo che va dalle conoscenze sulla lingua alla conoscenza della lingua (nel senso di competenza comunicativa). Per questo un atteggiamento incoraggiante, "di sostegno", riesce ad ottenere spesso risultati migliori di un'impostazione "dura" che invece di abbattere il 'filtro affettivo' crea ulteriori diaframmi psicologici tra il soggetto apprendente e la lingua straniera. A volte, il peggior diaframma è un insegnante percepito come ostile.

D'altra parte è sempre vero che una riflessione precisa ed analitica sulla lingua (non solo sulla morfosintassi ma anche sul lessico, sulla fonologia, sugli aspetti pragmatici, ecc.) è uno strumento indispensabile affinché l'apprendimento non consista in un imparaticcio approssimativo, pasticcione e in definitiva pericoloso. E qui si ripropone la scelta politica: tale riflessione può essere adeguata al livello di età e scolarità degli alunni, oppure possiamo servircene per selezionare coloro a cui bastano pochi cenni per afferrare al volo certe distinzioni sottili, poco tempo per memorizzare lunghe liste, ecc. Ogni scelta può essere legittima a seconda delle circostanze, ma deve essere consapevole ed esplicita.

Deutsch ueber alles?

Sotto questo profilo, non esistono lingue più facili o più difficili, e quindi 'naturalmente selettive'; il tedesco, ad esempio, è una lingua facile (o difficile) come le altre. Numerose esperienze, tra cui quelle della Provincia di Trento, dimostrano che lo si può insegnare anche a bambini piccoli - purché gli insegnanti siano preparati, i materiali e i metodi siano appropriati, gli obiettivi tarati realisticamente tenendo conto dei destinatari, ecc. Tutto dipende da quale livello di correttezza si pretende che venga raggiunto in rapporto al tempo disponibile. Per converso, i phrasal verbs inglesi (per non dire dei complicatissimi rapporti tra pronuncia e grafia), i congiuntivi francesi e spagnoli, l'uso delle preposizioni e le espressioni idiomatiche un po' in tutte le lingue, possono essere altrettanto selettivi quanto le concordanze e le inversioni del tedesco.

Rivendicare al tedesco la qualifica di lingua difficile può avere due effetti collaterali nocivi. Il primo è quello di scoraggiare molti dall'intraprenderne lo studio, con conseguenze negative sulla diffusione della conoscenza della civiltà-cultura germanofona in Italia. Il secondo pericolo è quello di creare un nuovo mito, per cui i docenti di tedesco sarebbero oggi le vestali della 'scuola seria' assumendo il ruolo che tradizionalmente era stato ricoperto dal latino e dalla matematica.

Una scuola in cui solo i capaci e meritevoli raggiungono i gradi più alti dell'istruzione è oggi un'esigenza acutamente avvertita dopo decenni di demagogia facilona; ma non sembra il caso di riproporre antichi errori come quello secondo cui il latino "insegna a ragionare". Se fosse vero, un autore di grammatiche latine dovrebbe esprimere il non plus ultra della logica; ma quando si legge che "[in certi casi] il genitivo di misura si rende con l'ablativo" si comincia a sospettare che la logica stia di casa altrove. Dove? Il tedesco è la lingua in cui la luna è maschile e il sole è femminile ma la donna, la ragazza e la signorina sono tragicamente neutre, e in cui il cosiddetto dativo ed il cosiddetto accusativo si ripartiscono in maniera certamente non lineare i vari complementi di luogo... Ogni lingua naturale è "logica" a modo suo ed entro precisi limiti.

Verso una 'capacità di analisi'

Per passare dalle enunciazioni problematiche a qualche possibile itineriario di intervento, propongo una tassonomia delle microabilità stilata a suo tempo dal Munby e da me rielaborata per quanto riguarda i testi scritti. Essa ci permette di vedere in concreto e nei dettagli quali microabilità siano trasversali alle diverse lingue e perciò, in linea di massima, trasponibili dalla propria competenza nella lingua materna, e quali di esse invece riguardino direttamente le peculiarità dei vari codici linguistici.

Iniziamo con le prime, le microabilità comuni.

1) Comprendere informazioni formulate esplicitamente e produrre informazioni esplicite.

2) Comprendere e produrre informazioni implicite nel testo, mediante

2.1. inferenza

2.2. linguaggio figurato

3) Comprendere e realizzare l'intenzione comunicativa (funzione) di frasi ed enunciati

3.1. con indicatori espliciti

3.2. senza indicatori espliciti

Gli indicatori variano da una lingua all'altra; comune è invece la comprensione del fatto che posssano mancare indicatori espliciti e che non vi sia una corrispondenza biunivoca tra strutture e funzioni: una frase interrogativa può essere un comando cortese, una frase dichiarativa può essere una proposta o un ammonimento, una proposizione può avere valore causale anche se non è introdotta da perché o altra congiunzione analoga, e così via.

4) Interpretare un testo attraverso riferimenti esterni ad esso

4.1. usando la referenza esoforica

4.2. "leggendo fra le righe"

4.3. integrando i dati nel testo con la propria esperienza o conoscenza del mondo

 

5) Riconoscere ed usare gli indicatori del discorso atti a

5.1. presentare un'idea

5.2. sviluppare un'idea (p. es. aggiungere un punto, rafforzare l'argomentazione)

5.3. passare ad un'altra idea

5.4. concludere un'idea

5.5. sottolineare un punto

5.6. spiegare o chiarire un punto già esposto

5.7. prevenire un'obiezione o un punto di vista contrario

Anche qui, come al punto 3 e nel seguente, mutano da lingua a lingua gli indicatori ma resta invariata la loro funzione discorsuale.

6) Identificare e indicare il punto principale o le informazioni più importanti di un brano, mediante

6.1. indicatori verbali (p. es. "Ciò che voglio affermare è...")

6.2. frase topica, in paragrafi con

6.2.1. organizzazione di tipo induttivo

6.2.2. organizzazione di tipo deduttivo

7) Distinguere l'idea principale dai dettagli a sostegno di essa, differenziando

7.1. significatività primaria e secondaria

7.2. l'intero e le sue parti

7.3. un processo e le sue fasi

7.4. categorie ed esponenti

7.5. asserzioni ed esemplificazioni

7.6. fatti ed opinioni

7.7. proposizioni e relative argomentazioni

8) Interpretare e riprodurre le informazioni presentate sotto forma di diagrammi, tabelle o grafi, il che implica la capacità di transcodificare dalla forma scritta a quella grafica e viceversa.

Mi sembra che questo elenco possa fornire una nutrita serie di spunti per la competenza testuale in un'educazione linguistica coordinata tra L1 e L2. Qua e là si coglie la matrice inglese della tassonomia: ad esempio, in Italia, che sappiamo e che insegniamo del paragrafo? Dove e perché "far punto e a capo" sembra uno dei segreti meglio custoditi nel nostro sistema scolastico... L'accostamento ad un codice diverso può costituire l'occasione per affrontare, con le cautele e le gradualità indispensabili, aspetti trascurati della competenza linguistica.

I punti che ora affronteremo hanno pure tratti comuni interlinguistici, nel senso che riscontriamo tali fenomeni in tutte le maggiori lingue europee; ad esempio, ovunque vi sono casi di pronominalizzazione e di uso dei pronomi con funzione coesiva (anafora), ma conoscere forma ed uso dei pronomi italiani non agevola di per sé l'apprendimento del sistema pronominale di un'altra lingua.

Ecco i punti in questione:

9) Riconoscere e manipolare il codice grafico di una lingua:

9.1. discriminare e produrre i grafemi

9.2. seguire e produrre le sequenze di grafemi (sistema ortografico)

9.3. comprendere e usare la punteggiatura

Il primo punto è molto semplificato nel caso in cui la L2 usi lo stesso alfabeto latino della lingua italiana. Vi sono però sempre o grafemi nuovi come la scharfes s (ß) tedesca o nuovi diacritici come la tilde spagnola, la dieresi, la cediglia e l'accento circonflesso in francese, ecc. Inoltre vi sono le lettere jkwxy che lo scolaro italiano conosce ma non adopera spesso, mentre in L2 esse impongono sicure distinzioni (si pensi alla coppia inglese yet / jet). Gli altri due punti sono sempre più o meno problematici perché ogni lingua fa un proprio uso peculiare sia dei grafemi che della punteggiatura (un fatto, quest'ultimo, troppo spesso trascurato).

10) Dedurre significato ed uso di elementi lessicali ignoti, mediante

10.1. comprensione della formazione delle parole:

10.1.1 radici e desinenze

10.1.2 affissi

10.1.3 vocaboli derivati

10.1.4 vocaboli composti

10.2. indizi contestuali

Il non lasciarsi bloccare da elementi ignoti è uno dei fattori più potenti di apprendimento linguistico. Entrambe le strategie sono comuni anche alla lingua materna, ma ogni lingua ha le proprie modalità di formazione delle parole; apprendere queste modalità facilita l'arricchimento lessicale, un dato la cui importanza è superfluo sottolineare.

11) Comprendere ed esprimere il significato concettuale, soprattutto con riferimento a:

11.1. quantità e numero

11.2. determinatezza e indeterminatezza

11.3. grado e comparazione

11.4. tempo (specialmente tempo e aspetto del verbo)

11.5. locazione; direzione

11.6. mezzo; strumento

11.7. causa; effetto; finalità; condizione; contrasto; concessione

Le categorie semantiche generali sopra indicate si ritrovano in ogni lingua, ma con modalità di realizzazione ampiamente diversificate.

12) Comprendere e produrre rapporti all'interno della frase, soprattutto mediante

12.1. elementi della struttura della frase

12.2. modificazioni della struttura

12.2.1 premodificazioni

12.2.2 postmodificazioni

12.2.3 disgiunzioni

12.3. negazioni

12.4. ausiliari modali

12.5. connettori intrafrasali

12.6. incassamento plurimo

12.7. fuoco e tema:

12.7.1 tema in prima posizione; inversione

12.7.2 posposizione

In questa sezione compaiono numerosi termini (premodificazione, postmodificazione, incassamento plurimo, ausiliari modali, e altri) che rivelano come la tassonomia sia stata redatta avendo in mente la lingua inglese; ad esempio, in italiano e in altre lingue la modalità si esprime mediante apposite forme flessive del verbo (congiuntivi, condizionali, imperativi, ecc.).

Gli ultimi due punti da esaminare riguardano la coesione lessicale e grammaticale. I "meccanismi" coesivi rimangono in buona misura costanti, tanto è vero che le stesse categorie si possono estendere alle altre lingue senza variazioni di rilievo, ma differiscono notevolmente i modi di realizzazione.

13) Capire ed esprimere i rapporti tra le parti di un testo attraverso gli elementi di coesione lessicale

13.1. ripetizione

13.2. sinonimia

13.3. iponimia

13.4. antonimia, antitesi

13.5. apposizione

13.6. sintemi ed espressioni idiomatiche

13.7. forme sostitutive; vocaboli polifunzionali

14) Comprendere ed esprimere i rapporti tra le parti di un testo attraverso gli elementi di coesione grammaticale

14.1. referenza anaforica e cataforica

14.2. comparazione

14.3. sostituzione

14.4. ellissi

14.5. indicatori di tempo e di luogo

14.6. connettivi logici.

A questo punto rimangono da affrontare due questioni importanti: la prima riguarda la progressione e la sequenza secondo la quale devono essere introdotti questi elementi in un curricolo di lingua straniera; la seconda si riferisce alle tecniche didattiche più proficue.

Per quanto riguarda la prima, l'analisi della testualità che abbiamo delineato ci porta alla conclusione che sia meglio procedere lungo un itinerario che parte dalle considerazioni generali sul testo nella sua globalità per giungere ai singoli dettagli solo in seguito. Ci sono almeno tre buoni motivi a sostegno di questa tesi. Il primo, su cui ci siamo già soffermati, è che buona parte del lavoro sui generi testuali e sulla coerenza è già svolto in lingua materna, almeno come competenza intuitiva. Si tratta quindi di chiarire ciò di cui non vi fosse ancora una coscienza esplicita, non di costruire una competenza ex novo.

Il secondo motivo è che questo itinerario è pienamente conforme all'approccio che Wilkins (1976) chiama analitico in quanto si procede dalla lingua in atto nella sua globalità per poi analizzarne le componenti (testuali-pragmatiche, lessicali-semantiche, morfosintattiche e fonologiche) in coerenza con quello che di lì a poco verrà chiamato l'approccio comunicativo alla lingua straniera. Viene ribaltato l'itinerario tradizionale, sintetico, nel quale si partiva dai singoli elementi per poi assemblarli in unità di maggiori dimensioni, possibilmente significative.

Il terzo motivo è che l'intera procedura rispetta i canoni psicologici della Gestalttheorie o teoria della forma, secondo cui quando siamo posti di fronte ad un'entità complessa prima la percepiamo nella sua globalità e poi cogliamo i singoli dettagli. Come si vede, i tre motivi sono così strettamente interrelati da costituire un solo nucleo compatto.

C'è anche un motivo non trascurabile che potrebbe invece far preferire l'approccio più tradizionale, sintetico: buona parte degli insegnanti di lingue sono abituati ad esso, avvertono che in questo modo si "costruisce" la L2, così come una casa si costruisce posando mattone su mattone. Ma la posa della prima pietra giunge soltanto dopo un lungo lavoro di progettazione che individua l'edificio nella sua totalità, in relazione con la funzione a cui dovrà assolvere e con il territorio in cui si colloca. La funzione di ciascuna "pietra", dalla prima all'ultima, nel contesto complessivo determinerà poi se essa debba essere un blocco di cemento, un mattone pieno o forato, una tegola o altro.

In modo analogo, la lingua straniera si costruisce soprattutto perché esiste una strategia generale di apprendimento linguistico. Questa dovrà man mano precisarsi e adattarsi alle esigenze di ogni lingua particolare, ma alla base c'è - ci deve essere - la consapevolezza che lo studiare le lingue è un'attività ben diversa dal risolvere giochi enigmistici.

Purtroppo molte delle attività proposte nella scuola - e in particolare le attività esercitative - sembrano rispondere più ad una "logica" di tipo enigmistico che a domande realistiche di comprensione ed espressione. Ma per quanto riguarda le tecniche didattiche che realizzano nel concreto le "attività sul testo e oltre il testo" per ora devo rinviare ai numerosi contributi apparsi su Scuola e Lingue Moderne, riservandomi di tornare sull'argomento con un intervento di carattere applicativo.

Riferimenti bibliografici

BALBONI P., G. PESENTI, B. RINALDI, C. SCAGLIOSO, Educazione linguistica e funzioni della lingua. Un progetto di formazione e di aggiornamento nella scuola materna, Brescia, La Scuola, 1990.

MUNBY J.L., Communicative Syllabus Design, Cambridge University Press, 1978.

PORCELLI G., "La traduzione come test glottodidattico", in S. CIGADA (a cura di), Processi traduttivi: teorie e applicazioni, Brescia, La Scuola, 1982, pp. 245-253.

PORCELLI G., "Capacità di sintesi", in Scuola e Lingue Moderne, a. XXVII, n. 3, marzo 1989, pp. 117-120.

WILKINS D.A., Notional Syllabuses, Londra, Oxford University Press, 1976.